Pagina:Opere (Dossi) I.djvu/200

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La provvidenza 1G9 « Signorina gentile; « non posso proprio accettare : un pùblico impiego mi vuole di giorno e spesso di notte. Di malincuore è il mio no; pur mi consolo pensando che lascio il posto a qualch’altro, certo più degno di me». Voi, capirete, lettori, che il pùblico impiego di Guido era tutta fandonia, sebbene ei già avesse, e l’ozio di un alto e la fame di un ùmile. Dùnque, che ne era del suo schietto caràttere? mò perchè ricusare un onestissimo ajuto? — Bella! — se è un matto! — salta su a dire un «N. N..», che a questo mondo cantò sempre nei cori. E, «matto», in confidenza, è quel nome, molto di uso, che noi regaliamo a coloro, i quali òsan pensare diversamente di noi, quando ne sembra un po’ forte il chiamarli o «bestie» o «birbanti». Ma il viso della mia Bigia si fà più gognino del sòlito. Ve’, se ha compreso! Tu allora, Bigia, e insieme a te, quelli che hanno intelletto d’amore e scélgono le scorciatoie del sentimento, non chiederete certo perchè, allontanatosi il servo, Guido si buttasse sul letto, a piàngere e a pentirsi, prima del suo rifiuto, del pentimento poi. Guido sentiva di aversi accecato il solo spiraglio di luce che ancor gli restasse, di avere perduto l’ùltimo filo che il rattcneva alla vita. Ma, un’ora dopo, un picchio alla porta: forse, della vecchia padrona di casa pel fitto settimanale. — Avanti! — Sàlis rispose, con la faccia contra il paglione. Si udì l’aprire dell’uscio. — Signore — principiò oscillando una voce di donna; ma questa voce descrisse una curva; non, come Guido attendeva, un àngolo. Egli ne trasalì. Levando lentamente e con timore la testa: — Oh! — fece; e balzando in sui pie’, poggiossi alla tàvola.