Pagina:Opere (Dossi) I.djvu/208

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CAPITOLO OTTAVO 177 naspava vieppiù ; tuttavìa e’ sentiva quel smar- rimcnlo di se, qucU’abbandono, clic precèdono il sonno. Nè c’era in mezzo se non il rumor del selciato ; sì, che allorquando si cominciò a córrer soave sur il battuto, Alberlo non finse più di dormire. Come destossi, la luna splendeva diritto nei vetri innanzi al coupé, illuminando, al di là, i dorsi e le leste dei tre cavalli ; di quà, egli e la vicina di lui, sopita. Il velo del cappellino era su. L’ovale sua faccia, da cui le làgrime avèano cancellalo e il colore e il sorriso, pareva al melanconico chiaro uno schizzo a carbone su’n bianco muro. Dio sa quali occhi sollo quelle palpebre a lunghe ciglia di seta ! E il guardo del nostro amico, vinto a incandescenza colanla, dovette abbassarsi. Dal water- proof di lei, sopra un ginocchio, usciva una mano guantata, stringente una lèttera. Un’ora passò. Svegliossi anche la bella, s’ad- diede di ciò che avea tra mani, e, volto alla sfuggita un’occhiaia ad Alberto, l’aprì. Quella lèttera avea forte-impresse le pieghe, ed era sciupala. La incognita stette un istante indecisa, poi la stracciò, e tornolla a stracciare ; sogguardò un’altra volta ad Alberto, si alzò, e, sceso un cristallo (senti che brisa !) sparpagliò fuori i pezzetti. Quanto al suo cuore, era di già laceralo ! Impallidisce la luna ; la punta del freddo si aguzza. Con il dissòlversi di una spolverina di nebbia, si disègnano e staccàno su ’n fondo celeste a pennellate ròsee, violette ed arancie, le creste delle montagne, e de’ villaggi i contorni. Il gallo, canta. E, come la macliinosa carrozza, in discesa con uno stridore di scarpa, tocca un acciot- Dossi. 12