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CAPITOLO DECIMOTERZO 259

Alberto nulla rispose. Passavano presso un cafie. Entro a pigliare un sorbetto. Vieni? — Ma, Alberto : Io non piglio sorbetti. Mi fan sognare di morti. — Questa è col mànico ! — esclamò Enrico. Piglierai altro. Manca roba!... Xo?... Be’, niente ; leggerai un giornale, mi farai compagnia. Xo.... no, sono stanco, ho sonno — affollò Alberto, inlunalo. — E la una. Addìo — e, prendendo la sdrucciolimi, si dilungò da Fio- relli con un passo tale, che sìibilo azzoppò la sua risposta di scusa. — Glia’ che ti voglio ancor bene ! — gli gridò appresso Fiorelli. Alberto era sconvolto nell'ànima. Il pensier solo, che Claudia fosse nel medésimo cerchio di mura dov’egli, bastava a 'fargli tremare le vene : aggiungi, il cupo livore contro quel non so che, dello per ora destino, che avea messo Illirico nel brougham, cioè gli avea furalo il suo posto, quantùnque insieme capisse, che se le parti, com’egli bramava, fossero stale invertite, a lui — Alberto Pisani — nulla sarebbe avvenuto. Gli allri, dàvano in mille avventure non ne cercando ; egli, desioso di una, non ne trovava mai. Dùnque, sospinto da una bufera di fantasia, camminava Impetuoso ; e dovè certo pensare, chi rincontrò, ch’ei s'affrettasse in cerca d ajuto per un che veniva od uno che andava. E così giunse in un quartiere della città, fuori di mano, nella contrada Moresca ; lunga contrada, vèrgine di marciapiedi e rolaje, a suolo ineguale, ma verdeggiante e fiorita, in cui la dimora dei signori Fabiani, disadorno casone