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CAPITOLO DECIMOQUARTO 269 impressione farà la presenza di lui a Claudia ? Che, la presenza è la prima — se non in tempo — in grado, delle commendatizie. Darai un due-lire a una birba artisticamente a strappi ; mancherai di moneta per colui che non può, o non avverte, di far la macchietta. E Alberto, adocchiando lo specchio, pensò, che presentandosi a lei, perderebbe ad un tratto quel fil sottile di amore, che con sì grande fatica avea giunto, e dopo tanto desìo. In quella, entra Enrico. — Siamo pronti ? — fà : poi, osservando come non si era: — Tò, Yavrei detto! — Va tu — dice Viberto con un far desolato — io mi sento a traverso. — Oh diàvolo! cosa? — Male, malìssimo. — Vero ? — dimandò Enrico a Paolino, il quale sopr^ggiungeva con un sopràbito in mano. — Pure — notò il servitore — il signorino ha mangiato con molto appetito a tàvola. Signorino ! — aggiunse — ho qui il sopràbito nuovo. Vuole provarlo ? — È elegantissimo, ve’ ? — disse Enrico, amili iràndone il taglio. Alberto di malincuore il provò — Va di pittura ! — esclamò Enrico. — Come stà bene ! — ribadì Paolino. E non èran bugìe. E il nostro amico sorrise. — Dùnque ; andiamo ì — disse Fiorelli — ho da basso il mio brougham. — Sì ; ma così.... così non vestito. — 7 • Ben si vedeva che Alberto non rampinava che per onor della firma ; fece un po’ ancora le smorfie, ma si abbigliò. E, per buon tratto di strada, tènnesi zitto, impalato. Influiva allora su lui Tàmido e la mantèca ; il mondo esterno cioè. Tuttavìa, allo svolto della con¬