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CAPITOLO DECIMOQUINTO 273 mani in cui la vita essiccava ; e, con la voce, come lo sguardo, bassa, mormorò : — Fiat voluntas Dei! — 40

Volle. ITn padiglione di nubi, si stende sulla pianura ; il bujo tinge, È una di quelle nolti, in cui i viaggiatori salgono a conlracuorc nelle carrozze, e i cavalli aguzzano spesso inquietamente le orecchie, e le perdute vigilie sentono più che mai il desìo di pigliare la fuga. Alberlo sta asserragliando la pìccola porta in fondo al giardino ‘della casa del mago. Barnaba ne è appena uscito con una carriola vuota. Solo ! E se ne stette, un momento, soggiogato dal peso della sua tanta sciagura ; poi, corse alla casa, correndogli il sàngue ancor più. M i, di boito, arivslossi. Era alla porla ; e, di là, ella attendeva. S’arrestò còlto da raccapriccio, battendo i denti e i ginocchi.... Si vinse. Con uno slancio, aperse le imposto, precipitossi al didentro. Dal davanzale del vasto camino, un lume, schiarava sul tavolone di marmo una bara, nuda, sìmbol di morte il più odioso. Ma il chiaro non arrivava alla vòlta. Ombre paurose slendòvansi sulle pareti. E Alberto chiese coraggio ad una folla di lumi. La nuova luce lo rinfrancò ; la nuova luce e i fiori, cli’essa pingeva all'intorno — glicini e rose — pendenti dalle lumiere, appese alle s<die ; in ceste; in cestini. E Alberto, afTer- r< to un martello, salì sopra la tàvola. Risonò il primo colpo. Udissi un crac nella s'anza. Egli rimase col martello sul còfano, non osando vòlgere gli occhi, e neppure di chiùderli. Pareva a lui, fosse entrato qualcuno.... Dossi 18