Pagina:Opere (Dossi) I.djvu/320

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Elegia 287 poiché abitava una casa la meno cittadinesca della città. N’era la via, fortunatamente, fuori di mano, e là nò le rotaje nò i marciapiedi s’ò- rano mai sovvenuti di entrare ; sì bene l’erba cresceva al sicuro, e qualche volla si coglievano fiori. La casa, pìccola, ma la porla grande, verace insegna del larghissimo cuore e della stretta fortuna di quella famiglia, che sul secondo ripiano, con un bigliettino bellamente scritto da Klvira, ci accoglieva dicendo :

gFt±t=3=g3*2. e poi veniva l'appartamentino, pòvero a slanze e a mobiglia, ma dovizioso di vista, riguardando un giardino dalFombre spesse e profonde, di là di cui verdeggiava un’ortaglia.... e così via, per ortaglie c giardini, l’occhio arrivava agli spaldi, chiomati d’antiqui castagni. In quella casa si bevòa un’aurclla tutta della campagna c vi facòa la luna le sue più strane e più poètiche apparizioni c commoveva il suono delle campane. Il dì gli augelletti, a sera i grilli. Di primavera in ispecie, un cinguettìo, un fruscio senza riposo. Indisturbati, i pàsseri avèa- 110 sotto la protendòntesi gronda costruito un villaggio di pensili cellette, e quando più denso, più turbinoso, si faceva il cippìo, sul terrazzino d Klvira ne piombavano coppie tenacemente avvinte, ebbre. Correva Giugno ; una giornata quanto mai soffocante ; il cielo pioveva fiamme, vampeggià- vano i muri ; una di quelle giornate, che ti fanno sentire il fastidio della tua soma mortale