Pagina:Opere (Dossi) I.djvu/43

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12 l’altrieri

fracassando vitrei guardameloni, vasi da margotte in una parola, insalando ben bene la faticata minestra di Tonio, il nostro ortolano — Tonio — il cui greggio faccione m’ho tratto tratto innanzi, grottescamente atterrito, fiso agli adaquatòi del giardino, che nuotano presso il zampillo d’una ampia vasca. LTn giorno poi (e questo è il solo dispetto in cui c’entri pazienza stratagliài il disegno della facciata di casa, forbicià ndolo finestra per finestra, porta per porta; un altro — versato sul busto in gesso del nonno, un calamajo ben pieno — per compir l’opera, m’inchiostrai viso, panni, camicia.

E a dire che intanto i miei buoni parenti ricamavano con seta ed oro mille e mille progetti sul mio avvenire! La prima agugliata, essi l’avèvano infilala (piando il mèdico del vili aggio, intascando un greve rotoletto — irfest il mio pedaggio per qui — lor presentava con prosopopè a una sentenza, chissà (piante volte riattepidita, (piella cioè che la testa del neonato, essendo di una misura e di una montuosità non comuni, indubbiamente pronosticava un uomo dai ventidùe ai ventiquattro carati: nientemeno 1 Lppure, essi, credèndoci, allinchè non fallisse un così grande avvenire mi avevano di presta ora stanato tutti quéi pochi maestri che un pìccol villaggio come Pravcrdc (in cui vivevamo, lavorando mio padre le sue tenute poteva ospitare.

Ma e che ne veniva?

Pòvero organista! — un vecchietto dai capelli bianchi, e dalla voce saltellante, Avèa bel tenermi le dila sui tasti; io mi sentiva sempre addosso il prurito: avèa bel spiegarmi il valore delle semibiscrome; io mi agitava intanto ’ o sullo sgabelletto e, cercando con i piedini (clic non toccàvano terra il pedale della gran cassa,