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Panche di scuola 61

VI.

Il sole se ne scappava a dormire, cioè a parlare più esatto, lo si argomentava dall’orologio, chò, con n 11 si fitto tendone di nubi, sfido voi a vedere la Maestà Sua aggropparsi il cuf- fiotto, e porre il roseo ginocchio sull’imperiale tàlamo: noi, intanto — colli da un temporale improvviso, a radi goccioloni, a ròtoli che facevano bazzucare i frutti sugli àlberi, lamentarsi i camini, ed atterravano i vasi di fiori — avevamo dovuto cambiare il giardino con uno stanzone a primo piano, stanzone che serviva un po alla distribuzione de premi, un po’ a distèndervi le patate e, dal quale, per una porla in un canto ed una scaletta a chiòcciola, filili- 7 o gèvasi, presso il fienile, alla cameruccia di (ìliioldi. Lì poi — siccome il Proverbio e la Proverbia èrano, per una visita di gala, scarrozzali-vi a e siccome il maestro di quarta signor Fagioletti, cui essi raccomandavano di aver rocchio ai fanciulli, se l’era svignala del pari, sperando che quello di terza (il (piale succiàvasi sotto le travi la ùnica oreltina sua) scenderebbe al baccano — così, per i cinque minuti, rimasti soli, i miòi compagni tjo basso matto, ma ci ho una buona ragione) si affaccendavano tanto, a córrere, a trambustare le sedie, a sbraitare, che, a pena, udìvasi il rimbombo della partita a palle, giuocata là in alto a lume de’ lampi fra Gambastorta e l’angelo Gabriele. Io, tuttavìa — ne stupirete certo — non scal- cagnàvami, non vociava ; ben in contrario, mi tenevo nel vano di una finestra, immòbile, in¬