Pagina:Opere (Dossi) IV.djvu/46

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ed in cima, fatta ancor peggio, una croce? o quei progettisti (nella più parte, come i sovraenumerati, inglesi e tedeschi[6]), fra i quali — oltre i parecchi di cui diremo poi di propòsito — primeggia il signor Delmar Philippis William Thomas Lambert H.A.D. (n. 59) (nota filza di nomi!) che circonda il suo orrìbil progetto di tempio indiano-barocco con una corona di sgorbi a matita, affatto incoerenti col tema, oppure quel n. 181 (Esperia, Ausonia, Italia civile e guerriera) che ci offre tre tàvole di sìmboli ridicolosi e di più còmiche spiegazioni, o quel n. 65 (Num et Sàul?) che dal Würtemberg manda sette fogli mal disegnati a làpis con una relazione spropositata in latino, ed anche quel n. 158 (Felix Hodorowitch) che dal Càucaso ci fà il presente di un cerotto di gesso e di colla rossa con quattro mostricini sui lati, da lui creduti guerrieri etruschi — bozzetto che, per la forma, il colore e la puzza, imprime allo stòmaco quel moto di ripugnanza e di nausea che incoglie alla vista di roba in putrefazione. La qual cosa osserviamo, poichè, tra i segni della mente non sana, è pure da annoverarsi la deficenza, più o meno totale, di quel sentimento che insegnò all'uomo il sapone e la scopa, la decenza nei modi, il pudore nelle espressioni.

Quanto diciamo dell'imperizia artìstica, può anche valere per la sgrammaticatura letteraria, la quale pure, quando è isolata, non dà altro indizio che della ignoranza di chi la commette. Ora, ignoranza non è mai stata demenza: trovi anzi, non raramente, in iscritti di quasi-analfabeti maggiore buon senso che nei volumi di parecchi filòsofi, di un Quìrico Filopanti ad esempio. Un sorriso e non più, mèritano quindi i farfalloni grammaticali