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POESIE 403

     50Viva la rimembranza; e mentre insulta
     Al valor morto, alla virtù sepulta
     Te barbaro rigor preme e calpesta.
Ronchi, se dal letargo in cui si giace
     Non si scuote l’Italia, aspetti un giorno
     55(Così menta mia lingua) al Tebro intorno
     Accampato veder il perso o ’l trace.

AL SIGNOR CONTE

CAMILLO MOLZA

Che gli uomini per l’ordinario hanno poco
credito nella patria loro.

Spesso cangiando ciel si cangia sorte,
     Camillo, e più cortese
     Trovasi lo stranier che ’l natio clima.
     D’alto valor orme leggiadre imprima
     5Alma cui sempre accese
     Nobil disio di soggiogar la morte,
     Gloria mai non avrà nel patrio lido:
     Han poca fama e grido
     I balsami in Arabia, in India gli ori,
     10Ma se passano il mar son gran tesori.
Chiaro è fra noi de l’immortal Fenice
     Il mirabil costume,
     Che di sè stessa è genitrice e prole
     Allor che volontaria a’ rai del sole
     15Arde le vecchie piume,
     E dal morir novella vita elice;
     E pur là ne le selve orïentali,
     Ov’ella ha i bei natali,
     Quasi augel del vulgar pennuto stuolo
     20Ignota spiega e sconosciuta il volo.
O sia d’invidia un pertinace effetto,
     O sia legge del fato,
     Nissun profeta a la sua patria è caro.
     D’Ilio predisse il duro caso amaro
     25Cassandra, e ’l volgo ingrato
     Suoi divini furori ebbe in dispetto.
     Fugga il tetto natio chi gloria brama;
     Alata anco è la fama,
     Nè giugne a lei chi dal paterno albergo
     30Non volge il passo e non s’impiuma il tergo.
Del Ligustico eroe derise i vanti
     Italia allor ch’ei disse
     Trovarsi ignoto un nuovo mondo al mondo;
     E intrepido affirmò che nel profondo
     35Vast’ocean prefisse
     Troppo vil meta Alcide a i pini erranti;
     Ma non sì tosto al regnatore Ibero
     Apri l’alto pensiero,
     Ch’egli ebbe a scorno altrui d’armati legni
     40Opportuno soccorso ai gran disegni.
Già d’invitti guerrier carche le navi,
     Quasi odïando il porto
     Pronte attendean del capitan gl’imperi;
     Spiravano dal ciel venti leggieri,
     45E sol con dente torto
     Mordean l’arene ancor l’áncore gravi;
     Quando il gran duce insu la poppa assiso
     Tutto di fiamma il viso
     A la raccolta gioventù feroce
     50Sciolse in tal guisa a favellar la voce:
Compagni, eccoci giunto ormai quel die,
     Che varcando quest’onde
     Facciam di regni, e più di gloria acquisto:
     Non sia, perdio, chi sospiroso e tristo
     55Lasci le patrie sponde,
     E paventi solcar l’umide vie:
     Fia ch’a sì bello ardir fortuna arrida;
     Scorta io vi sono e guida;
     Novella patria vi prometto, e giuro
     60Sotto più ricco ciel porto sicuro.
Colà volgono i fiumi arene d’oro;
     D’adamanti e rubini
     Mostran gravido il sen caverne e rupi;
     Germogliano del mar ne’ fondi cupi
     65Coralli assai più fini
     Di quei ch’usan pescar l’arabo e ’l moro;
     Son le spiagge più inospite e romite
     Sparte di margherite,
     E sì rivolga in quella parte o in questa,
     70Se non ôr se non gemme il piè calpesta.
Vostre saran sì prezïose prede,
     Voi primi il vanto avrete
     D’acquistar novi regni al mondo, a Dio:
     E fors’anco avverrà che’l nome mio,
     75Trionfando di Lete,
     Sia di fama immortal non vile erede;
     E Italia a’ voti miei poco benigna,
     Quasi invida matrigna
     Vedrò benchè da sezzo un dì pentita,
     80D’aver negata al mio grand’nopo aita.
Qualche senso, Camillo, hanno i miei versi,
     E non prendo senz’arte
     Del gran Colombo a rammentar le glorie.
     Tesserci de’ miei mal veraci istorie;
     85Ma contro a le mie carte
     Non vo’ che suo velen l’invidia versi.
     A te, che del mio cor gran parte sei,
     Son noti i pensier miei:
     A ciascuno il suo fin destina il Cielo,
     90Nè lunga etate ancor m’imbianca il pelo.

NELLE NOZZE

DEL SIGNOR DUCA

DI FIANO

E DELLA SIGNORA PRINCIPESSA

DI VENOSA.

Per l’italico ciel l’occhiata diva
     Ali spiegò di rapida colomba
     E con sonora tromba
     Sparse d’alti imenei voce festiva;
     5Ed ecco in su la riva
     Del Tebro apparecchiar a’ regii sposi
     Il Lazio trionfante archi pomposi.
Dolce mirar per le fiorite arene
     Danzar le Grazie in compagnia del Riso,
     10Mentre su l’erba assiso
     Gonfia il rustico Pan selvagge avene,
     E di fiamme serene
     Incoronata la superba chioma
     Dà sette colli suoi festeggia Roma.
15Oh potessi ancor io d’un dì sì chiaro
     Mirar le pompe, e secondar le gioie.