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POESIE 397

     E sì soave il canto
     Indi spiegò, che in Elicona appena
     105Febo formar può melodia più grata.
     Ver lui sorrise alquanto
     L’orgoglioso tiranno, e mentre disse,
     Non fu chi battess’occhio o bocca aprisse.
O beata, o felice
     110La vita di colui che ’l Fato elesse
     A regger scettri, a sostener diademi:
     Vita posseditrice
     Di tutto il ben che nelle sfere istesse
     Godon lassù gli abitator supremi:
     115Ciò ch’a Giove in ciel lice
     Lice anco in terra al re; con egual sorte
     Ambo pon dar la vita, ambo la morte.
Se regolati move
     I suoi viaggi il sol; se l’ampio cielo
     120Con moto eterno ognor si volve e gira;
     Se rugiadoso piove,
     S’irato freme, o senza nube e velo
     Di lucido seren splender si mira,
     Opra sol’è di Giove;
     125Quell’è suo regno, e tributarie belle
     A lo sguardo divin corron le stelle.
Ma se di bionde vene
     Gravidi i monti sono, e se di gemme
     Ricchi ha l’India felice antri e spelonche;
     130Se da le salse arene
     Spuntan coralli, e ne l’Eoe maremme
     Partoriscono perle argentee conche,
     Son tue, Signor. Non tiene
     Giove imperio quaggiù: questa è la legge;
     135Il mondo è in tuo poter, il cielo ei regge.
Su dunque, o fortunati
     De l’Asia abitatori al nume vostro
     Vittime offrite e consacrate altari:
     Fumino d’odorati
     140Incensi i sacri templi, e ’l secol nostro
     Terreno Giove a riverire impari;
     E tu mentre prostrati
     Qui t’adoriam, Signor, de’ tuoi divoti
     Avvezzati a gradir le preci e i voti.’
145Lusingava in tal guisa
     Questi il tiranno, e festeggianti e liete
     D’ogn’intorno applaudean le turbe ignare;
     Quando mano improvvisa
     Apparve, io non so come, e la parete
     150Scritta lasciò di queste note amare:
     Tu che fra canti e risa,
     Fra lascivie e piaceri ora ti stai,
     Superbissimo re, diman morrai.
Tal fu ’l duro messaggio:
     155Nè guari andò che da l’ondoso vetro
     Uscì Febo a cacciar l’ombra notturna:
     Infelice passaggio
     Da real trono ire a mortal feretro,
     Dal pranzo al rogo, e da le tazze a l’urna
     160Così va chi mal saggio,
     Volgendo il tergo al ciel, sua speme fonda
     Ne’ beni di quaggiù lievi qual fronda.

al signor

ERCOLE MOLZA

Che instabili sono le grandezze della Corte,
e che la vita privata è piena di felicità.


Gira all’Adria incostante, Ercole il ciglio,
     Che di Corte real vedrai lo stato,
     E fin che hai tempo, e che ’l permette il Fato
     4De le fortune tue prendi consiglio.
Non ti fidar di calma. In un sol giorno
     Scherza ne l’acque, e vi s’affonda il pino,
     E tal ricco di merci è sul mattino,
     8Che nudo erra la sera a i lidi intorno.
Grazia di regio cor gran lume spande,
     Ma la luce ch’apporta è poco lieta;
     E come raggio di mortal Cometa
     12Tanto minaccia più quanto è più grande.
Compagno è ’l precipizio a la salita,
     E van quasi del par ruina e volo.
     Molti gl’icari son, ma chi d’un solo
     16Dedalo i vanni in questo ciel m’addita?
Vide la Gallia i suoi Sejani, e vide
     Anco l’Iberia i suoi, ma se più presso
     Volgi lo sguardo, in questo lido istesso
     20Più d’un ve n’ha che fra suo cor non ride.
O di sincero amor e di fè rara
     Non volubile esempio, odi i miei detti,
     E del vulgo profano i bassi affetti
     24A calpestar da queste voci impara.
Non aura popolar che varia ed erra,
     Non folto stuol di servi e di clienti,
     Non gemme accolte o cumulali argenti
     28Petto mortal pon far beato in terra.
Beato è quei, che in libertà sicura
     Povero ma contento i giorni mena,
     E che fuor di speranza e fuor di pena
     32Pompe non cerca, e dignità non cura.
Pago di sè medesmo e di sua sorte
     Ei di nimica man non teme offesa,
     Senza ch’armate schiere in sua difesa
     36Stian de l’albergo a custodir le porte.
Innocente di cor, di colpe scarco,
     E non impallidisce e non paventa
     Se tuona Giove, e se saette avventa
     40Del giusto Ciel l’inevitabil arco.
Seggia chi vuol de’ sospirati onori
     Su le lubriche cime: offrirsi veggia
     Quanti colà, dove l’Idaspe ondeggia,
     44Per la spiaggia Eritrea nascon tesori.
A me conceda il faretrato Apollo,
     Che da la Corte a solitaria riva
     Io passi un giorno, e là felice i’ viva
     48Col plettro in mano e con la cetra al collo.
E poi che pieno avrà con la man cruda
     Il fuso mio l’inesorabil Cloto,
     Rustico abitator a tutti ignoto
     52Se non solo a me stesso i miei dì chiuda.