Pagina:Opere (Testi).djvu/7

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     Cangiate ei per timor forme, e sembianti,
     Nel profondo del mar corse a celarsi.
Così favoleggiò la prisca etate,
     Forse per accennar con finta voce,
     15Che ’l liquor di Lieo troppo è feroce,
     Se no ’l domano ognor’onde gelate.
Molino, il troppo ardir mi si perdoni,
     Non fia già ver, ch’ai rimbambiti accenti
     D’anile austerità mi pieghi, e tenti
     20Effeminar d’un maschio Nume i doni.
Vider, guari non è, de le cretensi
     Vigne i nobili umor le mense mie,
     Che tu de l’Adria per l’ondose vie
     Mandasti già sol per bearmi i sensi.
25Allor dentro le vene un’ardor lieve
     Dolcemente mi scorse: e giurerei,
     Se pur bevanda in cielo usan gli Dei,
     Ch’ambrosia più gentil Giove non beve.
O fra quante Nettuno isole inonda
     30Quattro fiate, e sei Creta felice;
     Già, che la fertil tua bella pendice,
     Di celesti tesori in terra abbonda,
A i campi tuoi giri sereno il cielo,
     Le spiagge tue cruccioso mar non turbi,
     35Nè le piante, nè l’erbe unqua perturbi
     Di nemica stagion grandine, o gelo.
De i re de l’Asia ad onorar le mense
     Dal Coaspe veniano onde d’argento;
     A me, che in povertà vivo contento,
     40Cidonio colle i suoi liquor dispense.
Abbiansi i lor diademi, e Ciro, e Serse;
     Pur che vite cretense il crin m’onori,
     Molino, io non saprò gli aurei folgori
     Invidiar de le corone Perse.
45Ma voi, castalie Dee, s’egli è pur vero,
     Che Bacco al par d’Apollo inspiri i carmi
     E che dopo le tazze al suon de l’armi
     Accordasser le trombe Ennio, ed Omero.
Del mio Molino al nobil crin tessete
     50D’eterni fiori un’immortal corona;
     Egli è di vostra schiera. In Elicona
     Tuffò le labbra, e vi smorzò la sete.
Entro la saggia bocca i favi loro
     Forman l’api ingegnose; e mentre snoda
     55L’alta eloquenza onde ogni core annoda,
     Escon da’ labbri suoi catene d’oro.
Non ha d’Adria il leon fors’altro figlio,
     Che di gloria maggior orni sua riva;
     Ne v’è (taccia l’invidia) alma, in cui viva
     60Unita a tanta fè, tanto consiglio.
O reina del mar, reliquia grande
     De la latina libertade, ascolta
     Le voci del mio cor. Forse una volta
     Famose esser potriano, e memorande.
65Corron l’insegne tue dal Moro al Trace
     Sempre vittoriose, e per tua spada
     Ogni barbara turba estinta cada,
     Ch’osi de’ regni tuoi turbar la pace.
Regga però costui pietoso, e giusto
     70De’ tuoi popoli il freno, e Parca amica
     Con lenta man da la conocchia antica
     Tragga degli anni suoi lo stame augusto.
Con trionfante prua ritorni intanto
     Il guerriero fratel da l’Asia doma,
     75E di palme Idumee cinto la chioma
     Dia non umil materia al nostro canto.

PER LA MORTE

del signor

FERRANTE BENTIVOGLIO

Non per legar con musiche catene
     L’usato corso a l’onde,
     Io del Tracio cantor bramo la cetra;
     Ne per tirar dal monte o pianta o pietra,
     5E di sassi e di fronde
     Farmi d’intorno inaspettate scene:
     Ma se tal or de le famose corde
     Ambizïon mi morde,
     Vien che ne’ regni de le morte genti
     10Vorrei destar pietà con dolci accenti.
Fama è che mentre a le tartaree soglie
     Orfeo con meste note
     Richiedeva il suo ben dal re d’Averno,
     Tutte laggiù nel dispietato inferno
     15A quelle voci ignote
     Cessâr le pene e s’acchetâr le doglie:
     Cerbero tacque, e a l’armonia celeste
     Chinò l’orride teste,
     E mentre il suon de l’aureo plettro udissi
     20Si fe’ il silenzio ne’ profondi abissi.
De la porta crudel stridono intanto
     I cardini infocati,
     E con novo stupor n’esce Euridice.
     Ma se cetra avess’io tanto felice,
     25Ne’ regni disperati
     Di furto più gentil mi darei vanto.
     Te del mio gran Ferrante alma guerriera,
     Infra l’Elisia schiera
     Cercando andrei ne l’Erebo profondo
     30Per arricchir di tua presenza il mondo.
Ma troppo a’ miei desiri è ’l Fato avverso.
     Or de la Tracia lira
     Splendon lassù nel ciel le fila aurate;
     Ed io colmo di doglia e di pietate
     35Intorno a la tua pira
     Da l’intimo del cor lagrime verso.
     Tu da quest’occhi miei prendi tributo
     Mesto sì, ma dovuto:
     Che se vita comun non vive il Forte,
     40Perchè con gli altri aver comun la morte?
Vivon secoli intier timide cerve,
     L’angue ringiovinisce,
     L’orïentale angel morto rinasce.
     L’uom ch’ad opre maggiori in terra nasce
     45Come lampo svanisce,
     O come spuma in mar quand’ei più ferve.
     Ben fece a questo ciel di Stige a scorno
     Ippolito ritorno;
     Ma d’Esculapio or non ritrova il senno,
     50Nè tai stupori a nostra età si fenno.
Sapess’io pur de l’Epidaurio Dio
     Emular quella destra,
     Ch’al bel fanciul saldò le piaghe acerbe;
     Ch’or mendicando andrei da fiori ed erbe
     55Per ogni balza alpestra
     Rimedio a la tua morte e al dolor mio.
     Dar al corpo di lui vita e salute
     Fu pietà fu virtute:
     Ma fora arte più degna opra più bella
     60Dar al tuo cener freddo alma novella.