Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/56

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48 intorno la vita e le opere di luciano.

Ma comunque ciò sia, è certo che egli venne in grande rinomanza: ed ei continua a dire come il suo nome fu conosciuto non pure in Jonia e nell’Eliade, ma in Italia ancora, dove ebbe vaghezza di andare (e forse necessita, per curarsi d’una malattia d’occhi, come scrive nel Nigrino), ed ancora in Gallia, dove con grossa provvisione insegnò eloquenza, come dice nell’Apologia. Ma giunto su i quarant’anni, noiato e stomacato delle vanità rettoriche, e forse anche avendosi procacciato da vivere indipendente, abbandonò i giudici, i tribunali, le dicerie, le declamazioni, e si ritirò in Atene. Quivi conversando nell’Accademia e nel Liceo, cercò nelle dottrine di Aristotele e di Platone conforto alla vita; ma avendo trovato promesse bugiarde, e la scienza a mano di ciarlatani, deluso ed indispettito non la credette, e la beffò con l’arme di quel dialogo onde Platone aveva confuso i primi sofisti: dipoi parendogli quest’arme poco efficace, impugnò il terribile flagello di Aristofane e di Eupolide, e non risparmiò niente e nessuno che gli paresse sciocco e ridicolo. In una città famosa per gentili piacevolezze egli parve a tutti piacevolissimo, arguto e novissimo scrittore: e correvano a udirlo recitare una specie di scritture non usate mai, certi dialoghi pieni di azione, di fantasia, di bizzarrie, di frizzi, di motti, vere commedie, nelle quali era il ritratto delle opinioni vive e dei costumi. Piaceva non pure la novità ma la bellezza artistica di questi dialoghi, e l’ardire del sofista diventato satirico, il quale faceva rivivere in Atene la libertà, la festività, il lepore, e la lingua del vecchio Aristofane. Ma egli offese l’orgoglio dei filosofanti, che continuamente metteva in canzone, e in un festivo dialogo li vendeva tutti quanti come schiavi. Ne fecero uno scalpore grande, massime i Platonici, come egli fa intendere nel Pescatore, i quali