Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/207

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LIBRO SECONDO 197

lagninsi della soverchia scarsità di esse gravezze, sappiano che non arrecherebbe molestia ai Longobardi il pattuirne altre maggiori. L’Erulo porto orecchio a tali proposte in tuono minaccevole dà commiato all’ambasceria, e procede oltre. Nuovi oratori, e con vie più fervorose suppliche mandansi dalla stessa gente; ma dell’egual maniera accommiatati, ecco arrivare una terza deputazione, la quale apertamente dichiaragli non doversi senza offesa di sorta impugnare le armi contro di loro, ed a quanti osassero assalirli a torto resisterebbero non di propria elezione, ma costretti da gravissima necessità chiamandone testimonio il Nume, ad un cui cenno il menomo vapore basterebbe perchè invanissero tutte le umane forze. Volersi poi ritenere che questi, giustissimo, commosso dai motivi della guerra aggiudicherà da padrone intra’ due litiganti la final sorte di essa; così gl’inviati, colle quali parole opinavano d’incutere temenza negli assalitori. Gli Eruli in iscambio conservando gli animi loro affatto imperterriti durano vie più fermi nel concepito divisamento. Schieratisi adunque gli eserciti di fronte una densissima oscura nube coprì la parte del ciclo sopra le teste de’ Longobardi, avendovi per lo contrario aere serenissimo laddove stavasi l’oste nemica. Donde potevasi ben conghietturare da taluni che gli Eruli andrebbero ad incontrare perniciosa battaglia. E di vero sopra ogni altro funesto era il portento presentatosi agli sguardi loro nell’atto di venire alle mani; tuttavia non badandovi per nulla pieni di sicurezza e di orgogliosissimo disprezzo assalgono il nemico, dalla