Pagina:Opere inedite o rare di Alessandro Manzoni, volume III, 1887.djvu/136

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126 lettera a antonio rosmini

come le cose sieno più, e più a noi appariscano, e come questa pluralità delle cose rimbalzi nell’idea. Qui dunque è da esaminare il fatto. Ora la pluralità delle cose apparisce a noi dalla pluralità delle sensazioni (parlando degli enti corporei, ai quali giova restringere sul principio il discorso, che si può estendere poi quanto si voglia in appresso), o per dir meglio, dalla pluralità dei luoghi chiusi dalle sensazioni, come da altrettante superfici. Questi sensibili non sono cogniti; fino che restano puramente sensibili, non sono idee. Che cosa fa lo spirito umano quando prima li conosce? quale è il primo risultato dell’atto di conoscerli? mentre prima che fossero conosciuti erano puri sensibili, a cui lo spirito non pensava, quindi perfettamente ignoti; di poi che cosa divennero? Lo spirito pensò ad essi ed il risultato fu, che pensandovi lo spirito disse seco medesimo, che que’ sensibili erano enti, ed enti sensibili e limitati da quei confini sensibili che presentano e da quella qualità di sensazioni superficiali tra le quali sono racchiusi: lo spirito tosto che li pensò come enti, vide che non c’era in essi alcuna contraddizione o ripugnanza, e quindi implicitamente conchiuse, che non solo erano pos sibili essi, ma assolutamente erano possibili degli altri si mili ad essi. È inutile qui d’introdurre la questione sul tempo, in cui lo spirito conosce implicitamente tutto ciò; basta stabilire che il pensiero prende i sensibili per suo oggetto, e rendendoli oggetto di sè, li rende a sè cogniti, onde il renderli oggetto e il conoscerli è il medesimo. Il renderli poi oggetto del pensiero è un dire con altre parole il pensarli come enti limitati e determinati dalle sensazioni. Ora questi enti determinati dalle sensazioni, quando si considerano puramente nella loro possibilità, diventano allo spirito altrettanti tipi, ossia idee speciali. Se dunque si cerca in che consista la specialità dell’idea si ritrova: 1.º ch’ella non sarebbe mai speciale se ella non si riferisse, ed applicasse ad un ente speciale, limitato con limiti sensibili. 2.º Che ciò che vi mette il pensiero, e che quindi costituisce il formale dell’idea, è la forma oggettiva, per cui il sensibile si rende oggetto dell’atto del pensiero; il che è quanto dire, è dal pensiero appreso come un ente con determinazioni sensibili. Quello dunque che costituisce l’idea, è l’ente; quello poi che rende speciale quest’ente, è la sua applicazione al sensibile, di maniera che l’ente è speciale non come ente, ma come applicato e riferito piuttosto ad un sensibile che ad un altro. Nè si dica che stando così la cosa il sensibile rimanga fuori dall’ente, perchè convien riflettere, che l’ente ha una forma sua propria, che è l’oggettività; onde qualunque cosa si apprenda come ente, o si apprenda nell’ente, è incontanente appreso come oggetto, ossia, che è il medesimo, come entità.