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Infatti il principe era più temuto che amato nella stessa propria società, per la quale non aveva mai nascosto il disprezzo; ma lo si credeva generalmente un dotto, che vivesse di studi, quantunque non avesse mai stampato un libro, e nascondesse la propria vasta erudizione.

All’epoca dell’emancipazione dei servi aveva sostenuto il partito più liberale, attirandosi molti sospetti di appartenere a quello rivoluzionario; poi impegnatosi in una lotta colla polizia per difendere un cugino nichilista aveva corso nuovi pericoli. Però la sua vita aristocratica, la sua apparente devozione ortodossa allo Czar, e sopratutto il suo grado e la sua parentela lo rendevano invulnerabile. Quindi di commissione in commissione era entrato nel senato come uno dei membri più giovani. Reggeva allora il ministero dell’interno il conte Tolstoi, spirito mediocre e violentemente reazionario, che divenne presto l’uomo più impopolare della Russia; fra questi e il principe s’accese una rivalità al ministero, nelle commissioni, a corte, da per tutto. Il principe Vladimiro pareva un originale, cui la dura onestà del carattere permettesse molti atteggiamenti ribelli. In tutti i rami dell’amministrazione, ove l’avevano messo, n’era uscito promuovendo grossi scandali ma con così fine abilità da non dar presa ad alcuno dei propri nemici.

Una volta per allontanarlo da Pietroburgo gli fu offerta l’ambasciata di Danimarca; ricusò