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quella pratica, e perchè l’elemosina del principe era la più abbondante, e per non attirarsi con un atto di ribellione la sua inimicizia. Nicola invece, profittando dell’assenza del padrone, si era contentato di mandare solamente il diacono a benedire il castello, sebbene se ne fosse mormorato nel villaggio; ma l’intendente non glie ne aveva detto parola.

Nell’immenso fermento ideale suscitato in Russia dalle dottrine di Hegel, questi sembrava esservisi sostituito a Napoleone, spostandola nuovamente dalla sua base storica. Un inconsolabile dolore occupava allora l’anima russa. Dopo che Napoleone aveva sommosso colle proprie legioni tutta la terra russa, Hegel ne aveva, col proprio pensiero, mutato il cielo. Nei circoli intellettuali non si poteva più essere russi che negando ogni valore al passato per scagliarsi attraverso l’Europa, ad un avvenire ancora troppo lontano per l’Europa stessa.

Nicola si era slanciato sull’hegelianismo come un areonauta, che abbandonando la terra vi getta appena uno sguardo per misurare tutta la distanza già percorsa; ma se nel fervore del primo entusiasmo aveva creduto alla nuova dottrina colla fede di un neofita, presto il freddo di tutte quelle astrazioni lo sorprese. Il suo pensiero russo soccombeva al giuoco di quella dialettica, insopportabile a forza di essere invincibile, e che dissolveva ogni realtà della vita in una serie di controposi-