Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/117

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Quel prete di una religione, che secondo la gente ha un balsamo per tutti i dolori, non aveva indovinato in lui, non aveva sentito niente nella sua voce! Un sorriso amaro gli contrasse le labbra.

Un altro fischio acuto, prolungato, fendè l’aria; s’intesero gli scoppi di un’enorme respirazione che si avvicinava, si vide in alto uno stendardo azzurrognolo di fumo, e il treno passò alla barriera rapido, nero, perdendosi nella campagna, che si assopiva languidamente sotto il tramonto.

Don Procopio lo aveva seguito cogli occhi:

— Quello sarà sempre giovane, mentre i nostri cavalli, — e si battè una gamba colla canna — non vanno oramai più!

Romani era diventato pallido come un cencio; nei suoi occhi sbarrati vi era la fissità dell’agonia, che non vede più o vede già troppo lontano.

Non aveva potuto parlarne nemmeno col prete.

Questa impossibilità di trovare un’anima, nella quale riversare tutta l’angoscia della propria, gli era diventata uno spasimo maggiore della stessa necessità di uccidersi. Sino dalla notte, dopo la lettura di quella lettera, resisteva all’angoscia di rivoltarsi per terra mordendo qualche cosa: invece aveva dovuto comporsi una maschera simile al volto di tutti i giorni, perchè nessuno si accorgesse di quello che soffriva. Gli pareva di essere un sonnambulo, colla coscienza di non poter più uscire dal proprio sogno. La vita seguitava intorno a lui più intensa di prima; la luce animava le cose, l’aria