Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/133

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Ritornò ancora, ma siccome le guardie stavano ferme in mezzo alla strada, a quaranta passi dalla gabella, fumando, si persuase di essere sorvegliato. Quasi ciò potesse distogliere i sospetti, traversò la strada per venire sull’altro marciapiede, volgendo daccapo la schiena alla propria casa.

Poi un passo sollecito gli risuonò dietro.

— Oh tu, Romani!

— Tu, Landi?

— Esci di casa?

— Sì.

— Io non ho potuto cenare a casa mia: un’altra scena con quella linguaccia di mia moglie! Vado al Falcone, accompagnami.

Aveva già bevuto due ponci, seduto all’ultimo tavolino di sinistra nella prima sala, col gomito appoggiato sulla cassa di vetro, nella quale si conservavano le paste.

Gaudenzi, l’impiegato del telegrafo, non si era ancora veduto, l’avv. Guglielmi doveva essere al club, quel vecchio maestro chiacchierino giocava nell’altra sala, e s’udiva spesso la sua voce in falsetto salire fra scoppi di risa.

Una malinconia fredda gli era penetrata sino dentro le carni, come certe umidità notturne, contro le quali non sembra giovare alcuna bontà di panni. Nel caffè, pieno degl’insoliti avventori domenicali, il chiasso cresceva più villano; erano gruppi di artieri in gazzarra dal pomeriggio, vestiti con pretensiosità plebea, dalle faccie inintelligenti e vanitose.