Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/135

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Invece, per tutta quella lunga giornata, nulla era venuto ad aiutarlo: aveva recitato troppo bene dissimulando.

La sua fine doveva compiersi come per qualunque altra malattia, senza nè ricevere nè dare ad altri alcuna insolita emozione. Perchè? A che cosa serve la morte? Perchè era nato? Se non vi erano perchè, tale infinita inutilità diventava il più profondo dei misteri. Nel bisogno di scostarsi dall’ultimo momento, il suo pensiero fluttuava daccapo all’urto delle sensazioni, che gli si rinnovavano nella memoria. Il babbo e la mamma, pieni per lui di tenerezza, lo avevano allevato in un bel sogno di avvenire, addormentandosi per sempre nella tristezza sconsolata di una disillusione finale; egli aveva amato i proprii bambini, rifacendo sopra di essi il medesimo sogno.

Perchè? Questa parola lo sbalzava da un altro lato; Camilla era passata una sera dinanzi a lui, si erano parlati, egli aveva provato un rimescolamento profondo, non aveva capito più bene, si era rovinato per lei senza accorgersene, e senza che ella se ne accorgesse. Perchè? Lo strozzino, d’accordo col signor Bonoli, aveva portato la sua cambiale falsa al pretore: volevano mandarlo in galera? Volevano costringerlo al suicidio? Perchè? Che cosa importava loro? Era così. Tutte le vite si rompono come bicchieri l’uno contro l’altro, senza che alcuno abbia mai potuto leggervi la marca di fabbrica, o indovinare chi verrà a raccoglierne i cocci.

Solamente allora si accorgeva di aver sempre agito senza un perchè; tutta la sua esistenza non aveva un solo atto necessario, che la spiegasse, all’infuori dell’avere mangiato e dormito, due bisogni istintivi per mantenerla.