Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/163

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come una scalea di un significato misterioso, mentre gli steli alti del fieno si ripiegavano sul margine della ripa a toccargli le vesti, o cedevano sotto la sua mano distratta, inumidendogliela.

Se qualche cosa avesse attraversato la notte in quel momento, soffio o voce, il suo spirito l’avrebbe seguita come si muovono nell’aria le piume di essa più lievi. Il sopore gli si faceva sempre più profondo, la vita vegetale della terra l’invadeva.

Era per lui come un benessere di albero sbattuto dal vento, arso dal sole nel giorno, e che di notte ridiventa fresco, e dalle foglie ristorate manda un murmure indistinto. Qualche stella sembrava tremolare nel sorriso della propria luce, altre si stringevano a gruppi entro un albore diafano, e altre più remote scintillavano tratto tratto, quasi barattando segnali di scolte. Ma tutto era pace anche lassù: una dolcezza di riposo si spandeva su tutte le cose; perfino il fiume aveva cessato di muoversi, e i ranocchi adunati nelle pozzanghere dei campi non gracidavano più.

Un lungo brivido gli discese dal pensiero giù per le reni, mentre un fischio stridente, quasi di un proiettile, gli passava sulla testa.

Il fischio seguitava rompendosi nell’acutezza di appelli ripetuti, la terra tremava: prima ancora di essersi potuto levare in piedi aveva scorto nuovamente la pupilla verde del disco dilatata nell’ombra, e al disotto di essa, sulla ghiaia della strada, un chiarore che si muoveva colla lanterna del guardiano.