Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/47

Da Wikisource.

Prese la candela, e in punta di piedi venne nella saletta. Tornò ad origliare, quindi rassicurato da quel russo leggero della moglie, si accostò alla tavola per mescersi un bicchiere di vino. Sulle prime non andava giù, le lacrime gli tornavano agli occhi. Allora sedette guardingamente al posto solito, poggiando ambedue i gomiti sulla tavola.

Aveva scoperto macchinalmente il piatto, nel quale stava il mezzo pollo: le lagrime gli intorbidavano la vista, aveva paura di far rumore, e nullameno non avrebbe più saputo rientrare nel gabinetto. Era come una tappa già oltrepassata, la prima seduta del processo, che doveva fare a sè medesimo, eseguendone alla fine la sentenza colla inesorabilità di un carnefice. Adesso tutto diventava irrevocabile nel suo stato: non poteva formulare un pensiero, fare un gesto senza sentire che posdomani non avrebbe potuto più ripeterlo. Il suo tempo era misurato; anche se non lo avesse voluto, il più insignificante fra gli atti della sua vita di prima diventava ora di una tragica importanza. Invece la sensazione più acuta gli veniva dal freddo dello stomaco, vuoto sino da quella colazione del mattino nella trattoria delle Tre Zucchette. Benchè la possibilità di mangiare in simili condizioni gli ripugnasse, aveva senza accorgersene rotto fra le dita un cornetto del pane, e stava per metterselo alle labbra.

Quindi si rinfrancò con un secondo bicchiere di vino, guardò il pollo; la sua cresta era bruciacchiata nelle punte, due o tre goccie di grasso dorato si erano coagulate nel fondo del piatto.

— Adesso — mormorò, come se nel cedere a tale bisogno fisico scemasse valore a quella orribile situazione.