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di Alfredo Panzini 153


sine nere, non finivano più di portare vassoi di metallo con tante cosine, tanti servizi, tante delicatezze: carni in gelatina, conserve, burro lavorato, dolci, latte, thè, birra; e poi carni ancora. Una interminabìle musica, suonata da altri lacchè italiani in marsine scarlatte, pareva aiutare quell’interminàbile pasto. Il sole pareva fermo sul lago.

Io guardavo con occhi spalancati.

«Ma questo popolo mangia enormemente», dissi fra me.

Finalmente venne il vespero, ed allora scesero giù — da dove erano scesi? dai monti della Tremezzina? — schiere di altri tedeschi, con certi polpacci, certi bastoni, certe scarpe ferrate da far paura. Oh, ma tutti cortesi, tutti inghirlandati delle fronde e dei fiori del maggio novello. Ma quanti! Allora mi ricordai che quel popolo cresce a milioni, e che tutti mangiano così e che anche gli operai hanno il salottino. E poi cantano grandi cori lungo le rive del Reno!

Ma chi pensava, allora, in quel maggio 1913, alla guerra?

***

Improvvisamente che cosa è successo nel 1914?

Abbiamo udita una voce oltracotante che parve la voce del signor Tale nei Promessi Sposi: «Fate luogo!»