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Pagina:Panzini - Il bacio di Lesbia.djvu/214

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212 alfredo panzini


tornati. Salute a te, o Sirmio divina. Sei contenta, o casa mia, che il tuo padrone sia ritornato? Ma sono proprio io quello che era lontano lontano in Oriente? Credevo di non vederti mai più. Quante cure, quanti viaggi, quanti pericoli, e che stanchezza dopo tanto andare per terra e per mare. Ora i pesi si sollevano dal cuore: mi sento leggero leggero. O casa mia, o mio focolare! Al nostro caro Lare, ecco siamo arrivati».

«Quanto l’abbiamo desiderata, questa nostra casa. Non lo sapevamo, non ce ne ricordavamo nemmeno più: ma il cuore era turbato e voglioso di maligne voglie perché eravamo senza casa».

— Accendete tutte le lampade, — disse Catullo ai servi, — banchettate e fate festa.

Il lago è dolce e piano. La villa di Catullo è in festa. Al profumo dei cedri e degli olivi in fiore si mescola l’odore caldo del girarrosto. Non vini oltremarini di Chio, non Falerno, non il cupo Cecubo dei pontefici romani: brilla il rubino di Bardolino. Ogni terra ha suo nominativo per il suo vino.

— Cari amici! Io vi dico, che faccia bene al cuore non c’è che il vino del suo paese.


Catullo ha convitato i vecchi amici di Verona, che sono venuti a salutarlo. Lui non ha