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— Ma che genio! Genio, caso mai, sono io che ho realizzato dal nulla.

Io ero furente: io avevo affrontato la pazzia, la povertà, la letteratura, il matrimonio, per suo amore. Invece niente. Come avessi raccontata una fola. Nemmeno l’onore del rifiuto.

Io non fumo che in circostanze solenni, ma in quel momento accesi una sigaretta senza nemmeno domandar compermesso.

Sentivo ancora la sua voce, monotona come la pallina della roulette, che cadeva ancora dentro Cioccolani: sentivo queste parole, Attileide, ascesi, genio, superamento, fanciullino, tutti contro il genio che appare.

— Oh, non l’abbandonerò io.... — disse in fine.

— Se lo tenga.

— E nemmeno abbandoneremo la partita. Voi ci aiuterete, Sconer, è vero?

Incredibile! L’incoscienza di quella donna arrivava sino al punto di ignorare che lei aveva offeso mortalmente un uomo come me.

— In che modo aiutare? Sono un letterato di Roma o di Milano forse io?

— Ma voi siete amico di Lionello.

— Ebbene? Che c’entra Lionello?

— Lionello è un puro.

— Con qualche riserva. Puro ero io, signora.