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della febbre. Rimasi lì, nascosto dietro la siepe a guardare senza muovermi. Solo il sangue mi affluiva a ondate larghe al cuore, e poi risaliva al cervello.

Erano due di quelle spigolatrici, scalze, presso ad una bica, poco distanti dal luogo ove io stava.

L’una alta, adusta, quasi sbilenca, co’ capelli neri arruffati come un cimiero affricano, si avventava sull’altra, e il riso le scoppiava come una canzone di baccante fuori dei denti bianchi. L’altra era più piccola e con un volto quasi infantile, ma tutto acceso. Un fazzoletto scarlatto le si annodava dietro la nuca, e ne scappavano pochi riccioli biondi madidi di sudore.

Ma le anche deformate dalle fatiche precoci e le mammelle esuberanti di giovinezza, minacciavano di liberarsi dai legami del busto.

Essa sembrava beata di farsi buttar giù sui covoni che gemevano con un fruscio di seta, e rideva, rideva lei pure; ma di un riso sciocco o schernevole che mi paresse, e squillava come argento.

Poi quando era caduta giù supina, si rizzava contro la compagna e questa le si avven-