Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/222

Da Wikisource.

vesti e nel decoro con cui sedeva traspariva anzi qual- cosa di monastico. Solo la capigliatura pareva ribellarsi a questa mortificazione a cui soggiaceva tutta la figura; una capigliatura vigorosa, magnifica come un cimiero antico che incorniciava la pallida fronte, dalla purezza di statua ellenica.

Il vigore della vita che pareva quasi sfuggire dalle membra, si affermava rifugiandosi in quella esuberante chioma.

Aveva deposto presso sé il cappello: un cappello semplicissimo di paglia e con le mani incrociate sul grembo sorrideva ogni tanto alla persona che le stava di fronte.

— E un gran caldo — diceva a fior di labbro ogni tanto.

— Rinfrescati con un po' di menta — e le porse una scatoletta.

Fece cenno di no, sorridendo di un bellissimo sor- riso che ebbe commento da queste parole: — Voglio re- sistere e voglio sopportare il caldo! Stando ferma, si sente meno.

Il signore di fronte era uomo che ad un attento os- servatore sarebbe parso più vicino ai cinquanta che ai quarant'anni; ma una gran presenza di signorilità piut- tosto austera, un non so che di sano, di placido, di vir- tuoso gli toglieva moltissimo di età.

Un forte e magro naso aquilino dominava una barba più che brizzolata in cui si apriva una bocca dolcissima, almeno nei rari colloqui con lei che tutto addimostrava sua figlia.

Questi erano i due viaggiatori che potremmo chia- mare silenziosi rispetto agli altri due che erano di una loquacità poco comune. Questi erano saliti per secondi in quello scompartimento, e si erano posti l' uno di fronte all'altra.