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divagazioni in bicicletta 205

di gloria nazionale. È un’ascensione verso l’alto. Da Badia Tedalda all’Alpe di Viamaggio sono sette chilometri di ascesa splendente di sole, di vento, di solitudine, di verdi monti. La polenta e i funghi furono digeriti, non così il tuo accento e la tua figura giovanetta, che nella gentilezza dell’atto e della voce, nella pulizia della dimora e delle vesti segnavi attraverso il deserto dell’Appennino il passaggio ad una regione italica ben diversa da quella che avevo lasciato.

Passai l’Appennino all’Alpe di Viamaggio o della Luna, presso la fonte dell’Imperatore. Chiamano nettamente, in Toscana, Alpe la linea di spartiacque; e poggi, i contrafforti e gli sproni. Lassù v’è un trebbio; una via scende a San Sepolcro, l’altra a Pieve Santo Stefano. Presi questa. Dall’Alpe al fondo della valle del Tevere sono circa undici chilometri di discesa a giravolta, ma così malagevole che ancor mi meraviglio di esser giunto incolume al largo viale di rubinie che conduce alla Pieve: certo la palma della mano era rattrappita pel lungo frenare e le gomme ardevano per l’attrito.

Pieve Santo Stefano, specie dopo il valico dell’Appennino, è un oasi. Occultata come pudica tra i monti, presso il Tevere — un Tevere piccino, niente affatto classico — è di una lindura che incanta. Le vie sono lastricate di sasso, le case sono adorne, la gente vi è cortese, il palazzo del comune alza la corona merlata, secondo lo stile di Toscana, con cotti e fregi di grande valore, infine ogni bisogno di vita costumata, civile e pulita può quivi essere soddisfatto compiutamente.

Da Pieve alla Vernia sono chilometri undici, più che meno, in ascesa quasi continua. Dalla valle del Tevere si passa in quella dell’Arno. La via difficilmente è carrozzabile, se non co’ buoi; molto meno è ciclabile.

Mi fu consigliato di lasciare la bicicletta alla Pieve e preferire la groppa di un giumento.