Pagina:Parabosco, Girolamo – Novellieri minori del Cinquecento, 1912 – BEIC 1887777.djvu/305

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è piú naturale e umana cosa lo aver compassione degli afflitti. Conciosiacosaché la natura sospinge noi, che uomini siamo, a sentire quelle miserie e calamitá nell’altro uomo venute, che possono agevolmente a noi medesimi soprastare; e dèi credere che a ciascuna persona stia bene a dolersi della morte e della rovina d’un prencipe, quantunque nimico si fusse: percioché ni una cosa si dee credere che rivolga piú contra di noi la dea Fortuna, che muta ogni mondano stato, che una superba e insolente vittoria. Bastiti adunque di avere vinto, e nel rimanente ritieni l’ufflcio e il debito d’uomo, servando nella morte di tanto prencipe quella umanitá che si conviene. — Aveva Antigono verso il figliuolo dette queste parole, quando, facendo subito levar di terra del suo nimico la onorata testa, scioltosi dal capo il velo, che egli alla usanza de’ macedoni portava avolto, con quello di Pirro la testa umanissimamente coperse, e, volendo che al corpo fusse congiunta, lo fece poscia onorevolmente ardere. E, essendogli appresso menato prigione Eleno, di Pirro figliuolo, divenuto Antigono pieno di compassione delle sue sciagure, vedendolo, assai famigliarmente lo confortò, dicendogli che a buona speranza stesse e vestisse dell’abito conveniente a re. Per che, benignamente licenziatolo, fece le ceneri del padre raccogliere, e, quelle dentro ad un vaso d’oro riposte, le mandò ad Alessandro, suo fratello, in Epiro. Onde si vede che, posciaché dovea Pirro sotto cotale impresa morire, fece piú gloriosa e illustre fra gli inimici la sua morte, che se nei natii terreni fra li suoi avesse il corso della sua vita fornito.