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sessione del 1853-54


sfruttare un argomento nuovo ed intemerato, mettendolo fuori a forza in quel primo trabocco della crisi economica, manifestamente peggiorata dall’ingorgo delle troppe imprese industriali. Ma peichè quell’impeto di diffidenza, che nel linguaggio commerciale fu assomigliato a timor panico, viene ora lasciando alcun luogo alla riflessione, e gli animi smarriti cominciano pure a ravviarsi ai consueti pensieri ed a comprendere come gli avvenimenti che ci sovrastano, svolgendosi in un campo grandissimo, meneranno fiotti manco vorticosi e piú regolari, nen ci parve di dovere piú oltre temporeggiare a sclvere il nostro debito. Tanto piú che abbiamo dovuto conoscere grandissima essere tuttavia l’aspettazione, per non dire l’impazienza delle popolazioni, che alfrettane coi voti il beneficio delle divisate ferrovie; sul concorso delle quali. popolazioni, doviziose e intelligenti, com’esse sono, devesi fare il principale assegnamento per il buen esito dell’impresa. E d’altra parte, anche in questo mezzo tempo di sbaraglio economico, vedemmo non senza meraviglia continuare per opera di varie società, studi dispendiosi per abilitarsi a concorrere all’impresa, della quale abbiamo a discorrere: iadizio non piccolo che l’industria privata, tra.tante altre ferrovie, anche meglio favorite dalle predilezioni governative, scerne e distingue quest’una, come piú promettente e protetta dall’immancabile guarentigia della natura.

E veramente si tratta, non che altro, del complemento, e, se non ispiaccia, della correzione del sistema delle nostre grandi linee ferrale; le quali, come portava un’infelice, ma pure onorevole necessità, furono, da quel tato che guarda la frontiera orientale dello Stato, condotte piú a ragione d’interessi peculiari e difensivi, che col desiderabile riguardo alle necessità comuni di tutta la penisola, le quali poi si risolvono, o si risolveranno quando che sia, in interessi piú grandi, piú durevoli, piú imperiosi. Il che non diciamo a studio di censura, essendo naturale che, come la geografia è violentata e stroncata dalla confinazione politica, così riesca storpio, e per gelosie doganali e strategiche, spostato tutto il sistema delle comunicazioni, Ja quale materia vuole essere brevemente chiarita, perchè piú sinceri appaiano alcuni principii che Ja vostra Commissione ha seguiti nel sindacare il progetto governativo.

Chi guarda la mirabile rete delle ferrovie, onde in sei anni di operosa libertà fu solcato e vivificato il nostro paese, scorge una differenza notabile tra le linee della regione o occidentale, che defluiscono spontanee come le guida la geografia o come le invitano i centri piú popolosi, e la regione orientale, dove pure è l’attaccatura del nostro Stato colla rimanente Italia, e dove le nostre strade ferrate sembrano lottare contro le pendenze naturali, ripiegarsi all’indietro, appostarsi dietro i fiumi, aggrupparsi d’intorno a luoghi guardati e difendevoli, invece di distendersi lungo il piano eridanio, che declina agiatamente verso Adriatico, e di lasciarsi sdrucciolare incontro alle ricche contrade vicine, dove ci tira necessità di commerci e comunanza di vita spirituale. Che differenza fra il ventaglio delle ferrovie che rag@ierà tra breve d’intorno a Torino verso le valli circostanti, e si ramificherà liberamente su quel piano subalpino, il quale merita sì bene il nome di Piemonte, e la linea ferrata di Genova, che, cominciando da Serravalle, appena fuori delle strozzature appennine della Scrivia, abbandona il fiume che la guiderebbe all’aperto piano, svolta vefso ovest a ritroso del suo versante geografico e commerciale, e corre a nascondersi dietro i bastioni d’Alessandria, a risalire la valle del Tanaro, a strisciare faticosamente verso il Po sotto le colline di Valenza!

Era una necessità, crediamo; anzi diremo assai piú, diremo che era giustizia. Ragione di Stato voleva che Genova fosse piú presto che con nessun’altra grande città italiana congiunta colla capitale del regno; ragione di difesa imponeva che non si aprisse una via girevole tra Genova ed Alessandria; ragione di buon governo chiedeva che i capoluoghi delle provincie fossero collegati fra loro e colla metropoli. Lo Stato costruiva le strade ferrate a sue spese; naturale che le disegnasse a suo senno e servizio. Non ci si vieterà però che anche rispettando cadesti istinti di vita disgiuntiva, ricordiamo come le grandi comunicazioni ferrate, le quali non si compiono se non col concorso di tutte le forze sociali, devono servire a stimolare la circolazione naturale, l’attività dei commerci, le potenze produttive piuttosto che ad accrescere le potenze dispendiose e consumatrici.

E valga il vero, prima che lo Sfato mettesse mano alla costruzione della sua ferrovia governativa, Genova aveva pensato con lungo desiderio ad una ferrovia commerciale, la quale fin qui ad onta della sollecitudine del Parlamento e del buon volere del Governo è ben lontana dall’essere compiuta.

Molto, a questi tempi, e dalla tribuna legislativa e per le stampe si discorse delle condizioni del commercio ligure. Speranze magnifiche e profezie minacciose si usarono alternamente a stimolare ia opulentissima Genova, perchè avvisasse modo di combattere le concorrenze degli empori rivali; ottimamente postato il porto ligure, in fondo ad un bel golfo che s’insinua entro terra quasi cento miglia piú di Marsiglia; qui dovere di ragione provvedersi, per di qua sboccare al mare il mercato elvetico e Ie contrade dell’alto Reno e dell’alto Danubio, che sono le piú centrali d’Europa; interporsi, troppo vero, il doppio ostacolo dell’Appennino e dell’Alpe; ma quest’ultimo essere comune con futti i porti del Mediterraneo, cavatane Marsiglia, ia quale però paga il privilegio colla lunga risvolta che deve fare prima di giungere al Reno; quanto all’Appennino, già potersi dire quasichè domato dalla bellissima ferrovia ligure, che aspetta dai nuovi motori la sua ultima perfezione; Trieste vittoriosa competitrice di Genova dovere anch’essa far arrampicare i suoi traini sur una triplice trinciera di monti prima di penetrare nella valle del Danubio; essere spediente affrettarsi al varco delle Alpi, e assicurare a Genova il predominio dei commerci svizzeri, svevi e bavarici; doversi fare ogni opera perchè essa diventi il porto meridionale dell’associazione daziaria degli Stati germanici, come Trieste è il porto dell’unità doganale austriaca. Questo è guardare giusto e lontano, Non vorremmo però che si lasciasse di guardare da vicino quello che piú preme. Il lontano mercato dell’Europa centrale, sta bene; ma sta meglio il vicino mercato della Lombardia, il quale soggiace intanto ad una mortalissima concorrenza.

Quando si parlò primamente di ferrovie in Italia, Genova ebbe tantosto l’idea di congiungersi a Milano e Milano di congiungersi a Genova. Fino dal 1834 una società ligure-domandò al Governo l’autorizzazione di costruire una strada ferrata tra Genova e la Lombardia con due diramazioni, Puna per la valle del Tanaro verso Torino, l’altra per la Lomellina ed il Novarese verso Arona. Passarono sei anni: il Governo, fatto studiare l’argumento da una Commissione ufficiale, alla perfine mandò fuori le regie patenti 10 settembre 1840, consentendo la costituzione d’una società privata e indicando la linea che prediligeva. È pregie dell’opera ricordare questa prima scelta della pubblica amministrazione. La ferrovia, dicevano le regie patenti del 1840, partendo da Gerova e varcato l’Appennino per la valle della Scrivia,