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la poesia lirica in roma 97

viviali? A me pare veramente probabile che per qualche cosa di simile Catone ricordasse nelle Origini il detto costume, rimproverando i contemporanei di avere presa altronde una cattiva usanza invece della buona e domestica. Ma, si obbietterà, Cicerone l’avrebbe detto nei due o tre passi in cui riferisce la notizia di Catone. Si può rispondere che Cicerone ha riferito del passo catoniano la parte che approvava e taciuta quella che non approvava. Nel fatto, l’Arpinate pensava differentemente dal Tusculano rispetto alla poesia e ai poeti. Come vedremo. Intanto Ennio dopo gli esametri dell’epos, introduceva in Roma anche i distici dell’elegeia, mentre Catone esprimeva il suo malcontento, per questa come per molte altre novità, col buon verso saturnio dei vecchi1.

Catone, che tutto riferiva alla patria e al comune, non aveva torto di temere la nuova poesia, che già con Ennio si mostrava soggettiva, come è naturale che fosse, e lodatrice di viventi e privati. Più avrebbe temuto se avesse potuto vedere quanto sdolcinata e puerile si mostrasse in quelli che scrissero versi elegiaci nella prima metà del secolo settimo. Era il tempo quello del fiorire di Lucilio, di cui restano due distici interi e altri frammenti del suo libro ventesimo secondo2. Dei due distici interi uno è un epigramma epitimbio, l’altro parte di un epigramma amatorio. Nell’uno e nell’altro c’è l’impronta dell’unghia leonina. L’esempio forse del grande Satirico fece pullulare gl’imitatori? Noi

  1. Pag. 13 Cato.
  2. Pag. 18. C. Lucilius.