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la speranza, anzi l’intenzione, di riavere l’amore, che dice perduto. Già, è in coliambi, nel metro con cui ha deriso il povero Suffeno e il freddo Sestio. Non fa meraviglia a noi che la poesia iambica sappiamo ispirata specialmente dalla repulsa d’amore e dal disprezzo sociale. Pure in tanta passione ci aspetteremmo un altro metro. Ma no: Catullo minaccia; solo mostrando la saetta, egli minaccia, senza aggiungere parola1. Le parole sono tutte per indurre nell’infedele la memoria dell’antico amore; per farlo riavvampare, Catullo afferma di rassegnarsi a riconoscerlo spento2. In verità, è spento così poco che si rivolge al suo rivale, già amico suo, Caelio Rufo, con parole che ancor più che l’odio e l’ira, mostrano un profondo infinito rammarico3. Ma Caelio lascia la pericolosa Medea del Palatino, la Clytaemestra quadrantariam. La quale cercherà poi, in vano mercè la parola di Marco Tullio, di vendicarsi del suo infedele Iasone e Aegistho; per allora, tornò a Catullo. Esso aveva avuto sentore di questo ritorno; sapeva che Clodia parlava şì male di lui, ma non parlava che di lui: ora egli faceva il medesimo e sentiva d’amarla tanto; dunque ne era amato4. Presto fu necessaria una spiegazione. «Perchè dici male di me?» mandò a dire il lupo all’agnello. E

  1. Vedi a pag. 62 nota al v. 5: vibrare vale in questo verso veramente «agitare minacciosamente» o meglio «palleggiare e provare», come in Cic. de or. II lxxx, 325: vibrant hastas ante pugnam.
  2. Pag. 57 [VIII].
  3. Pag. 59 [LXXVII] e [LXXIII].
  4. Pag. 60 [XCII]. Il primo verso non è troppo bene spiegato nella nota: va inteso come qui sopra, e avverti il chiasmo in tutta la frase, che comincia con mi e termina con me.