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accettare e andare. Giunto nella Troade portò al sepolcro del fratello, sebben tardi, il dono funebre, e parlò alla cenere muta: ave atque vale1. Che facesse poi nell’anno, non si sa: del propretore si sa che non ebbe a lodarsi, chè non badava che a sè e non stimava quanto un capello solo tutta la coorte. Ma venne la primavera deiranno seguente. Oh! i giocondi preparativi della partenza! i chiassosi saluti tra amici, i quali prendono, chi una strada chi un’altra, che li riconduce però tutti in patria! Soffiano i venti tiepidi e senza mutamento; i piedi sentono il formicolìo di andare e correre. Catullo si propone di visitare le splendide, per arte e fama, città dell’Asia minore2; e a ciò prende ad Amastri un buon veliero, capace anche di andare a remi, un phasellus. Il che può confermare la supposizione che il padre di Catullo avesse affari nell’Asia, e possedesse navi. La rotta di Catullo, indicata da lui stesso molto brevemente e generalmente, fu Ponto, Propontide, Thracia, Rhodi, Cycladi, Adriatico; donde per il Po e un canale navigabile che pare fosse tra Verona e Valeggio, giunse a Verona, al Benaco, alla diletta Sirmio, alla sua villa che, già silenziosa, sembra risvegliarsi all’arrivo del padrone e fargli festa col vario tramestìo di persone e cose. Qual dolcezza il riposo dopo tanto aggirarsi, dopo tanta navigazione! Coi fardelli del viaggio gli pare di deporre un carico dell’anima, anche più grave, e finalmente, dopo le dormiveglie, tutte sognacci e incubi, d’un anno e più, gusta il vero sonno in un

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