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libro delle Georgiche, e Orazio faceva anch’esso quasi in parodia, il suo bozzetto campagnolo, ma in persona di uno strozzino: un idillio comico.1 Con Vergilio il giocondo e fine Venosino conobbe gli altri poeti, Vario nato per l’epos, Fundanio, scrittore d’argute comedie, Pollione, autore di forti tragedie. Non andò molto, e Vergilio prima e poi Vario presentavano a Maecenate quello che compieva il numero: il Lucilio nuovo, il Catullo migliore. Orazio avanti il potente amico di Cesare, arrossì e balbettò, e dopo poche parole fu accommiatato. Dopo nove mesi, fu richiamato e ammesso tra gli amici. Poco prima o poco dopo, il poeta aveva dato prova della sua virtù Archilochea contro un villano rifatto, uno schiavo liberato, che la faceva da eques, un eques come nè più nè meno Maecenate il discendente di re Etruschi. «Quando un uomo simile è tribuno militare, a che armare navi contro i masnadieri e gli schiavi liberati di Sesto Pompeo?»2 Così egli dice; e noi possiamo notare che alla vigilia d’una nuova guerra civile non condanna più tutte e due le parti, poichè vede già la salute di Roma nella causa di Cesare. E in ciò mostra tanto poco di servilità, che per l’appunto egli inveisce, con quel carme, a quel che pare, contro un amico, o vecchio o nuovo, di Ottaviano. Orazio narrò poi, quasi otto anni dopo, i primi tempi della sua familiarità con Maecenate. «Per questo solo (cominciò a annoverarmi tra’ suoi) per aver chi prender su in raeda, viaggiando, e a cui confidare bagattelle di

  1. I. [Hp-] IX [V], X [II]. Alcuni da queste somiglianze deducono che l’epodo sia posteriore alle Georgiche.
  2. I. [Ep.] VII [IV].