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vino della Sabina non è generoso, tu lo sai, o Maecenate, ma fu messo nell’anfora nel giorno d’una tua gioia!1. A questi simposii amichevoli, cui già cantò e iambicamente e melicamente, dopo Philippi e dopo Actium, la canzone all’anfora è come il preludio. Vi è dentro il vino fatto nel suo anno natalizio, per il qual vino mostra una predilezione quasi superstiziosa. È dentro l’anfora il lamento e lo scherzo, la rissa e il sonno, l’ispirazione all’eroismo e al canto, distrazione ed espansione, speranza, conforto, coraggio2. Lo sa ben egli, che nel triste giorno invernale in cui la fronte sua e quella degli amici era solcata di rughe, domandava già il vino fatto Torquato consule meo. Ma quali erano gli amici d’allora? Ora si chiamano Maecenate, Vergilio, Valgio, Albio, Tibullo, Licinio Murena, Sallustio Crispo, Dellio, Septimio. Sono, col protettore e amico sopra tutti caro, poeti e potenti. I suoi canti vanno a questi e a quelli con lo stesso tono familiare e sincero. Egli nel 728 consola Maecenate uscito allor allora da una gravissima malattia assicurandolo che, quando sarà l’ora, insieme andranno nell’ultimo cammino. Come avvenne. Con Dellio, l’acrobata delle guerre civili, se la cava consigliando l’equanimità, perchè si deve morire a ogni modo, e la natura stessa ci consiglia a godere dei brevi fiori della vita. A Sallustio Crispo, il ricco nepote dello storico, il rivale di Maecenate nel favore di Augusto, l’imitatore di Maecenate nel nascondere con una vita molle l’ambizione e la forza, loda

  1. L’ode vigesima del primo, ancor più incerta.
  2. Vedi le odi raccolte sotto il titolo, IX. Banchetti con amici.