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vano suscitare più la gioia della riconoscenza e il fiore della poesia, in chi non poteva più fare il paragone tra il cattivo e il buon tempo. La poesia diventò versificazione, un’esercitazione d’ingegno; ed ebbe per fine il plauso e il diletto. Cose da non disprezzarle nè poeti nè lettori: fine proporzionato all’atto, effetto proporzionato al fine.

Domizio Marzo fu contemporaneo, sebbene nato dopo (nel 710 proprio, parrebbe) dei due grandi poeti Augustei. Ebbe forse a maestro quello stesso iracondo Orbilio, che ebbe Orazio; satireggiò quello stesso poetastro Bavio cui marcò Vergilio, pianse la morte di Vergilio e Tibullo avvenuta nel medesimo anno 735.

     Nella campagna de’ pii con Vergilio, a compagno, o Tibullo,
          Morte, non giusta, mandò giovane ancora pur te;
     che non cantasse più niuno, con gli elegi mesti, l’amore,
          o con il metro guerriero ire e battaglie di re1.

Si citano di lui Cicuta, che doveva essere una raccolta di epigrammi; Fabellae di almeno nove libri, poichè Charisio (72 Keil) cita quattro parole del nono libro; oltre un poema Amazon, al quale si vuole che alludesse Orazio con quella scappata del Carme quarto libro quarto, verso 202; oltre un trattato de urbanitate; oltre una serie d’elegie, Melaenis, una donna, come dice anche il nome, bruna. Ma il meglio di Marso doveva essere negli epi-

  1. Pag. 316 Domitius Marsus. L’epigramma contro Bavio, riferito da Philarg. ad Verg. ecl. iii 90 in Cicuta, è tralasciato.
  2. Vedi a pag. 305 nella nota a V [XIV]. Del poema e dell’elegie (se erano elegie, non un’elegia sola o altro) ha lasciato memoria Marziale in IV xxix 7 e VII xxix 7; il qual Marziale parla di Marso, come di suo grande predecessore, qua e là.