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Pompei. Poi uno per anno, dall’86 al 96, gli undici primi libri degli epigrammi. L’ultimo che certo contiene poesie scritte in Hispania, fu pubblicato dopo un certo intervallo. Questi dodici libri sono (questa volta l’immagine l’ha suggerita esso, il poeta) sono una collezione di statuette (non tutte da esporsi a tutti gli occhi) che rappresentano il mondo Romano con una grazia e vivacità straordinarie1. Il mondo Romano? il mondo antico? Bene spesso bisogna dire «il mondo» senz’altro. Cotilo il Mondano non l’ho conosciuto io? C’è dal mio e Cotilo una differenza soltanto: la caramella. E Mathone? Mathone, il parlatore o scrittore elegante e fine; che s’ingegna non di dir cose buone e vere, ma di dirne sempre belle, ossia, per tradurre a lettera, benino? Non un oblio, non una negligenza mai, superumanamente stucchevole!

     Tutto vuoi dire benino, o Mathone. Alle volte di’ bene
          anche, così e così; male, magaridio, di’,

E Afro, che parla sempre de’ suoi crediti e delle sue rendite?

               «Corano centomila, il doppio Mancino,
               trecento mila Tizio, due volte Albino,
               Sabino dieci, venti tanto Serrano,
               mi devono: da case e fondi milioni
               tre, dalle mandre Parmigiane secento
               mil....» Afro! sempre questa fola mi conti?
               Oh! altro conta se tu vuoi che ci regga:
               lo stomaco rifammi con un po’ d’oro:
               codeste cose non le posso udir gratis.

  1. Pag. 353. Lib. I-XII, e spec. pag. 368: Bei tipi.