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non molto lungi scorre il fiume Crimiso, che si confuse con l’altro Crimiso siciliano non lungi da Aegesta, presso cui Vergilio, seguendo non sappiamo qual autore, pose l’incendio delle navi. Sicchè la tradizione, che lo pone presso Neaetho, sembra attestarne un’altra che lo poneva sulla Sicilia occidentale. Finalmente, secondo Aurelio Victore che cita Cesare e Sempronio, l’incendio avvenne a Caieta, e fu opera d’una donna Troiana, nutrice di Enea, che ebbe appunto quel sopranome, non nome (Caieta ἀπὸ τοῦ καίειν), da quel fatto1. Ma Aristotele, in Dionysio, narra invece: «Alcuni Achei di quelli che venivano dall’impresa di Troia, doppiando Malea, furono presi da una violenta burrasca, e per un in balìa dei venti errarono per il mare, e all’ultimo vennero a quel luogo dell’Opice (il paese meridionale d’Italia di lingua Osca), che si chiama Latinio (Kiessling emenda in Lavinio), posto sul mare Tyrrhenico. Veduta con piacere la terra, tirarono là in secco le navi e passarono la stagione invernale preparandosi a salpare al principio di primavera. Ma essendo state loro bruciate a notte le navi, non avendo come partirsi, per necessità, mal loro grado, stabilirono la sede in quel luogo dove avevano approdato. E ciò loro accadde mediante le donne prigioniere, che conducevano da Ilio. Or queste bruciarono le navi temendo di andare a casa degli Achi, per esservi schiave»2. E in Dionysio leggiamo anche un’altra versione, secondo la quale Enea dal paese de’ Molossi venuto in Italia dopo

  1. Aur. Vict. Orig. Gent. Rom. x.
  2. Dion. Hal. A lxxii 3.