Pagina:Pastor fido.djvu/64

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   E d’innestato crin cinge le tempie.
   Poi le ’ntreccia e le ’nfiora,
   E l’arco, e la faretra
   Al fianco mi sospende,
   E m’insegna à mentir parole, e sguardi,
   E sembianti nel volto, in cui non era
   Di lanugine ancora
   Pur un vestigio solo.
   E quando hora ne fue
   Seco là mi condusse, ove solea
   La bella ninfa diportarsi, e dove
Trovammo alcune nobili, e leggiadre
   Vergini di Megara
   E di sangue e d’amor, si come intesi
   A la mia Dea congiunte.
   Tra queste ella si stava,
   Sì come suol tra le violette humili
   Nobilissima rosa:
   E, poi che ’n quella guisa
   State furono alquanto
   Senz’altro far di più diletto ò cura,
   Levossi una donzella
   Di quelle di Megara, e così disse,
   Dunque in tempo di giochi,
   E di palme sì chiare, e sì famose
   Starem noi neghittose?
   Dunque non habbiam noi
   Armi da far tra noi finte contese
   Cosi ben come gl’huomini? Sorelle