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216 parte prima

Finalmente, arrivò anche per lui il momento tanto sospirato!

Il 7 di novembre di quell’anno medesimo, eccolo chiamato, col grado di luogotenente, in servizio attivo nei Cavalleggeri di Lodi, dove fu presto nominato aiutante maggiore.

Promosso capitano, entrò poi — 6 maggio 1862 — nei Cavalleggeri d’Alessandria.

Tenuto in conto di ufficiale distinto, venne per poco aggregato al Corpo di Stato maggiore; ma quel mestiere non era fatto per lui. La sua anima, il suo corpo, volevano una vita più attiva; e, fosse il presentimento della gloria che lo aspettava, od altro, tanto fece e tanto pregò, che nel luglio 1864 fu rimandato al comando del suo caro e amato squadrone.

Ed eccolo a Villafranca il 24 giugno 1866!

Quel giorno, trovandosi collo squadrone di avanguardia alla Divisione di S. A. R. il principe di Piemonte, guidata dal capitano di Stato Maggiore conte Rinaldo Taverna — ora generale nella Riserva, senatore del Regno, e presidente della Croce Rossa — seppe, con grandissimo slancio, arrestare un convoglio diretto a Verona: farne prigioniero il personale di servizio e catturare l’ufficiale telegrafico, nel momento che stava informando il Comando generale austriaco dell’arrivo in quel posto dei nostri.

Nè ciò basta. L’ardito capitano, più tardi, avvertita una furiosa carica degli Ulani — che per punto di mira avevano preso il Principe Umberto — col suo solo squadrone, si slanciò contro l’intero reggimento nemico. Gli Ulani caricati di fianco, deviano, e vanno così a incontrarsi nei quadrati del 49 e 50 fanteria, che intanto avevano avuto il tempo di rapidamente formarsi.

Il futuro Re d’Italia, impassibile, in mezzo al suo quadrato — circondato dallo Stato Maggiore divisionale: Ferrero e De Sonnaz, maggiore Ulbrich, capitano Taverna, tenente Serego Allighieri, sottotenente Ponza di S. Martino, Trivulzio, Luigi Visconti di Modrone; e dal suo primo aiutante di campo Generale Revel cogli ufficiali d’ordinanza Gianotti, Cagni, Roero, Bertola e Brambilla — si preparava a vendere cara la vita.

Ritiratisi gli Ulani, il capitano Marchesi, coi pochi superstiti del suo squadrone, non ancora contento, piomba in coda alla loro colonna Ha il cavallo mortalmente ferito. Circondato da parecchi Ulani, sostiene la lotta corpo a corpo: disarma un soldato nemico, cui prende il cavallo, e rimonta in sella. Ferito, continua a battersi per tutta la giornata. Queste ultime note noi le riproduciamo da quel brevetto che recava al capitano Marchesi de’ Taddei la Medaglia d’oro al valore.

Corra a quel prode, colla stima e l’affetto di chi l’ebbe a compagno, il nostro pensiero riverente, là, presso il tumulo glorioso, nel cimitero della sua nativa Cremona.