Pagina:Pavese - Poesie edite e inedite.djvu/205

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mi pareva di vedere accompagnarsi un piú sregolato gioco di rapporti fantastici. Quando, insomma, la potenza fantastica diventa arbitrio? La mia definizione dell’immagine non mi diceva nulla in proposito.

Ancor adesso non sono uscito dalla difficoltà. La ritengo perciò il punto critico di ogni poetica. Intravvedo tuttavia una possibile soluzione, che però poco mi soddisfa perché poco chiara. Comunque, essa ha il pregio ai miei occhi di riportarmi a quella convinzione della fondamentale interdipendenza tra motivi pratici e motivi espressivi, di cui parlavo a proposito della mia formazione linguistica. Consisterebbe, il criterio di opportunità nel gioco della fantasia, in una discreta aderenza a quel complesso logico e morale che costituisce la personale partecipazione alla realtà spiritualmente intesa. Va da sé che questa partecipazione è sempre mutevole e rinnovabile e quindi il suo effetto fantastico incarnabile in infinite situazioni. Ma la debolezza della definizione risulta da quella discrezione cosí necessaria e cosí poco concludente agli effetti del giudizio sull’opera. Bisognerà dunque affermare la precarietà e superficialità di ogni giudizio estetico? Si sarebbe tentati.

Ma intanto smaniavo sotto Passillo creativo, e faticosamente inciampando in modo vario sempre nella stessa difficoltà, mettevo insieme altre narrazioni d’immagini. Ormai mi compiacevo anche in rischi virtuosistici. In Piaceri notturni, per esempio, volli costruire un rapporto, a contrasto, di notazioni tutte sensoriali, e senza cadere nel sensuale. In Casa in costruzione, nascondere il gioco delle immagini in un’apparente narrazione oggettiva. Nella Cena triste, rinarrare a modo mio, a intrico di rapporti fantastici, una trita situazione.

Per ciascuna di queste poesie rivivevo l’ansia del problema di come intendere e giustificare il complesso fantastico che la costituiva. Diventavo sempre piú capace di sottintesi, di mezze tinte, di composizione ricca, e sempre meno convinto dell’onestà, della necessità del mio lavoro. Al confronto, talvolta mi parve piú giustificato il nudo e quasi prosastico verso de I mari del Sud o di Deola che non quello vivido, flessibile, pregnante di vita fantastica, di Ritratto d’autore e del Paesaggio IV. Eppure tenevo fede al chiaro principio della sobria e diretta espressione di un rapporto fantastico nettamente immaginato. Tenevo duro a narrare e non

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