Pagina:Pavese - Poesie edite e inedite.djvu/208

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con inenarrabile noia e, forse proprio per sfuggire alla noia, tratteggiate in modo cosí bravo e allusivo che piú tardi a rileggerle ti sono parse pregne di avvenire. Il criterio psicologico del tedio non è quindi sufficiente a segnare il trapasso a un nuovo gruppo, dato che la noia, l’insoddisfazione, è la molla prima di qualunque scoperta poetica, piccola o grande.

Piú attendibile è il criterio dell’intenzione. Per esso le nostre poesie si definiscono stanche e conclusive, oppure iniziali e ricche di sviluppo, a seconda che si sceglie noi di considerarle. Evidentemente questo criterio non è arbitrario, poiché mai ci verrà in mente di decretare a capriccio la portata di una poesia, ma sceglieremo per farle fruttare quelle appunto che non solo componendole ci hanno promesso avvenire (che sarebbe ben raro, per la ragione sopraddetta del tedio) ma che, rimeditate una volta composte, ci offrono concrete speranze di ulteriori composizioni. Con che si viene a dire che l’unità di un gruppo di poesie (il poema) non è un astratto concetto da presupporsi alla stesura, ma una circolazione organica di appigli e di significati che si viene via via concretamente determinando. Succede anzi che, composto tutto il gruppo, la sua unità non ti sarà ancora evidente e dovrai scoprirla sviscerando le singole poesie, ritoccandone Pordine, intendendole meglio. Mentre Punità materiale di un racconto si fa per cosí dire da sé ed è cosa naturalistica per il meccanismo stesso del raccontare.

Hai intanto escluso che la costruzione del nuovo gruppo possa essere un disegno autobiografico, che sarebbe narrazione nel suo significato naturalistico.


Devi ora decidere se certe poesie sciolte (non comprese nel primo Lavorare stanca) sono la conclusione di un vecchio gruppo e l’inizio di uno nuovo. Che componendole tu avessi l’intenzione di superare Lavorare stanca, risulta per lo meno dal fatto che allora (inverno 1935) il libro era già in tipografia. L’inverno del ’33-36 segnò la crisi di tutto un ottimismo basato su vecchie abitudini e l’inizio di nuove meditazioni sul tuo mestiere, che si espressero in un diario e si allargarono via via a un approfondimento prosastico della vita intera, e attraverso preoccupazioni successive (1937-39) t’indussero a tentare novelle e romanzi. Ogni tanto facevi una poesia — l’inverno 1937-38 ne produsse parecchie sotto un ritorno

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