Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/299

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Doro prese inaspettatamente a scherzare e disse che un uomo innamorato ha perso il lume degli occhi e il suo giudizio non conta. Parlò che sembrava Guido. Lo adocchiai stupefatto. Il bello era che Clelia non ci badava e alzò di nuovo le spalle brontolando che eravamo tutti gli stessi.

— Che succede? — esclamai ridendo.

Niente succedeva, e Clelia con voce piccina cominciò a lagnarsi che si sentiva un vecchio rudere e che a pensare alla sua giovinezza, anzi all’infanzia, quand’era scolara e quand’era andata al primo ballo e quando aveva messo la prima volta le calze lunghe, le venivano i brividi. Doro ascoltò sovrapensiero, sorridendo appena. — Ero una bambina troppo giudiziosa, — diceva Clelia desolata. — Pensavo che l’indomani se papà fosse diventato povero all’improvviso e si fosse incendiata la cucina, non avremmo piú avuto da mangiare. Mi ero fatto nel giardino un ripostiglio di noci e di fichi secchi, e aspettavo che diventassimo poveri per offrire a papà le mie provviste. Avrei detto al papà e alla mamma: «Non disperatevi. Clelia pensa a tutto. L’avete castigata, ma lei adesso vi perdona e non fatelo piú». Com’ero scema.

— Tutti siamo scemi a quel tempo, — dissi.

— Credevo a tutto quello che mi dicevano. Non osavo mettere la faccia tra le sbarre del cancello perché poteva passare qualcuno e cavarmi gli occhi. Eppure dal cancello si vedeva anche il mare e non avevo altra distrazione, perché mi tenevano sempre rinchiusa e io stavo sulla panchina e ascoltavo i passanti, ascoltavo i rumori. Quando una sirena suonava nel porto, ero felice.

— Perché gli racconti queste cose? — disse Doro. — Per sopportare i ricordi d’infanzia di un altro, bisogna esserne innamorato.

— Ma lui mi vuol bene, — disse Clelia.

Chiacchierammo a lungo quella notte, e poi andammo a vedere il mare sotto le stelle. La notte era cosí chiara che s’intravedeva il biancore del frangente sotto la ringhiera del Passeggio. Io dissi che insomma a tutta quell’acqua non ci credevo e che il mare aveva l’effetto di farmi vivere sotto una campana di vetro. Descrissi il mio ulivo come una vegetazione lunare, anche quando non c’era la luna. Clelia, volgendosi tra me e Doro, esclamò: — Com’è bello! Andiamo a vederlo.

Ma traversando la piazzetta incontrammo certe conoscenze, e ci toccò raccontare di Mara, e di parola in parola Clelia si dimen-


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