Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/226

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e scendemmo la strada. — Ci vorrebbe un locale laggiú, — disse Pieretto, — per avere una mèta — . Gabriella che ci precedeva con Oreste, gli disse; — Villano. Guai a voi se riparlate del diluvio.

Io camminai tra i due gruppetti, e fiutavo la terra, la luna, il caprifoglio. Passammo sotto il ciglione dei fichidindia. I cespugli e i tronchi sulle coste scoperte facevano mille giochi di luna. C’era un fiato leggero che pareva il respiro della notte.

Oreste, avanti, cianciava d’una volta ch’era stato a cavallo. E Poli, dietro, discuteva con Pieretto. — C’è un valore nella vita del senso, nel peccato. Pochi uomini sanno i confini della propria sensualità... sanno che è un mare. Ci vuole coraggio, e uno può liberarsi soltanto toccandone il fondo...

— Ma non ha fondo.

— È qualcosa che trasporta oltre la morte, — diceva Poli.


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