Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/292

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che però voleva rivedermi, che voleva parlarmi di molte cose, convincermi a far qualcosa per loro e Momina le aveva già detto quant’ero brava. — Non è venuta stasera, — dissi per dire.

Mariella si animò e la scusò. Disse che s’erano telefonato, che Momina non sapeva, che voleva far visita ai Mola.

— Lei sa?... — e abbassò la voce alzando gli occhi.

— Sí, — dissi. — Come sta Rosetta?

Allora Mariella cambiò colore e, costernata, disse che se conoscevo Rosetta dovevamo parlarne, era una povera ragazza che i suoi non capivano e le facevano la vita impossibile, era forte e piena di sensibilità, aveva assoluto bisogno di vita, di cose, era piú matura dei suoi anni, e lei adesso aveva paura che la loro amicizia non sopravvivesse a quella terribile esperienza.

— Ma lei, la ragazza, come sta?

— Sí sí, si è rimessa, ma non vuole vederci, non vuole vedere nessuno. Chiede soltanto di Momina e non vede che lei...

— Se non è che questo, — dissi, — purché stia bene.

— Si capisce, ma ho paura che mi odi...

La guardai. Quella smorfietta costernata non era per me.

— Sarà la nausea del veronal, — dissi allora. — Quand’una sta male di stomaco, le ripugna veder gente...

— Ma vede Momina, — ribattè subito Mariella, — mi fa rabbia.

«Hai da crescere, cara, — pensai, — al tuo posto saprei meglio dominarmi».

— Rosetta, — dissi, — non ha bevuto il veronal per farle dispetto — . Dissi questo con un sorriso e una faccia di commiato. Mariella subito riprese il sorriso e mi tese la mano.

Salutai i piú vicini. Lasciai Morelli nel suo crocchio tra la farfalla e le donnette, e me ne andai. Fuori piovigginava e presi un tram sul viale.


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