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— Andiamo fuori? — disse lui.
Fuori, nel primo portone cercò di baciarmi. — Buono, — gli dissi, — non voglio fare un torto a nessuno.
— Non facciamolo a noi, — balbettò ridendo. Cercò di nuovo di baciarmi.
Lasciai che facesse. M’inchiodò contro il muro. Sentii l’odore e l’urto vivo della bocca e dei capelli. Non aprii le labbra.
— Sei giovane, — gli dissi sulla spalla, — sei troppo giovane. Io queste cose non le faccio per le strade.
Per un poco camminammo a braccetto, senza sapere dove andassimo. Mi parvero quelle sere di Guido, quando Roma era lontana e non avevo ancora diciott’anni. Anche la notte era la stessa, fine marzo o settembre. Becuccio non era militare, ecco tutto.
Tornava a stringermi la vita. Avevo voglia di baciarlo. Invece dissi: — Tu che cosa t’immagini?
Si fermò e mi fermò. — Che devi venire con me, — disse scuro.
— Ci vengo, — gli dissi. — Ma è un regalo di stanotte. Ricòrdati.
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