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sore straniero, li accertava che egli volgeva al cielo continue preci per «invocare la pace sopra tutta questa terra d’Italia, che se, nella nostra carità universale per tutto il mondo cattolico, non possiamo chiamare la più diletta, Dio volle che però fosse per noi la più vicina» 1.

A chi avesse letto bene entro quelle linee - e in quei giorni di cervelli sconvolti e di accese passioni, erano rarissimi quelli che sapessero leggere bene - sarebbe apparso chiaro che in esse c’era implicita come la disdetta della interpretazione troppo favorevole data - sempre per la ragione che gli occhi velati dalla passione non sapevano più leggere il vero - alle parole contenute nella precedente Enciclica che finiva col celebrato motto; «Benedite, gran Dio, l’Italia, e conservatele sempre questo dono, di tutti preziosissimo, la fede»; parole nelle quali il Papa esprimeva un pensiero esclusivamente religioso e gl’Italiani, ciechi ed illusi, vi avevan voluto vedere unicamente il senso politico.

Quella Allocuzione del marzo non era, quindi, soltanto la disdetta di quella falsa interpretazione, ma era anche il preludio con cui si entrava nel finale della contraddizione, onde si sarebbe chiusa quella brutta commedia della politica a partita doppia che don Abbondio era stato costretto fin li a rappresentare. Dappoichè il Papa, già pentito — per le continue suggestioni dei Cardinali reazionari, dei gesuiti e degli ambasciatori d’Austria e di Baviera — dell’accordata costituzione, la quale — egli lo senti subito — non era toga virile da potersi indossare sopra il gran manto sacerdotale, ora si trovava davanti al bivio fatale a cui lo avevano condotto, con quotidiano traballamento, in quel periglioso cammino, gli avvenimenti di cui egli stesso era stato l’inconsapevole iniziatore.


  1. M. D’Azeglio, sempre il più temperante, il più leale, il meno appassionato fra gli autori di parte moderata, scriveva al Rendu, intorno alla chiusa di quella Allocuzione: «È bello; ma ecco la lotta che comincia fra il capo della Chiesa e il principe italiano. E frattanto si combatte in Lombardia!» (E. Rendu, L’Italie de 1847 au 1863, Correspondance politique de M. D’Azeglio, già citata, pag. 34). Giustissime e ben tristi riflessioni, alle quali non c’è da fare che una correzione, imposta dalla realtà storica; la lotta non cominciava allora, era cominciata dal 10 luglio 1846 ed era rimasta fin qui ad uno stato più o meno latente; ora s’approssimava allo scoppio palese e definitivo!