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188 pellegrino rossi e la rivoluzione romana

Non è mio ufficio narrare qui le vicende successive a quella infausta Enciclica: nè la nomina del ministero Mamiani in sostituzione di quello Antonelli-Recchi, nè le elezioni compiutesi nello stato romano dei rappresentanti al Consiglio dei deputati; nè le adunanze e le discussioni di quell’assemblea; nè gli avvenimenti guerreschi di Lombardia, nè le prime onorate vittorie dei Piemontesi, nè le titubanze del valorosissimo soldato, magnanimo re e mediocre generale, Carlo Alberto, nè gli errori del suo stato maggiore, nè le lentezze e le discordie del Durando e del Ferrari, nè le prove di fermezza, di coraggio e di entusiasmo date dai Toscani a Montanara e Curtatone, dai Romani, in venti giorni di lotta, a Vicenza, nè gli atti eroici dell’esercito sardo sotto Peschiera e Mantova e alla battaglia di Goito, nè l’abilità di grande capitano dimostrata dal maresciallo Radetzcky, nè la dolorosa sconfitta di Custoza e la susseguente ritirata su Milano1 e l’armistizio Salasco.

Solo, per la maggiore intelligenza di ciò che segue, io debbo richiamare l’attenzione dei miei lettori su due specie di fatti, svoltisi dal 29 aprile al 16 settembre 1848, giorno in cui Pellegrino Rossi fu assunto al ministero.

La prima serie riguarda tutti gli atti compiti dai liberali moderati per procurare di rabberciare il terribile strappo fatto dall’Allocuzione papale del 29 aprile nell’ordito del programma da essi intessuto per contenere entro i limiti dell’ordine costituzionale tutto quel terribile rivolgimento patriottico: la seconda

    allorquando, pubblicata l’Enciclica del 29 aprile 1848, che sequestrava gli stati romani dalla rimanente Italia, il Pontefice esautorò il Principe, e per finire la guerra contro l’Austria preparò la rivoluzione contro la sua autorità». Luigi Carlo Farini, La questione italiana, lettera a Lord John Russel, Torino, stamp. Marzorati, 1858, pag. 10.

  1. Non sarà male rammentare ai lettori qui, poiché certi giornali, così detti democratici, continuano, con una ignoranza che non può essere vinta che dalla loro malafede, a ingiuriare la memoria di quel nobilissimo martire che fu Carlo Alberto, accusandolo di non avere difeso Milano — che non si poteva difendere — non sarà male rammentare che lo sfortunato e cavalleresco monarca volle assolutamente, contro il consiglio di tutti i suoi generali, contro le nozioni più rudimentali di strategia, commettere deliberatamente il (gravissimo errore di ritirarsi su Milano, per un delicato sentimento di affetto e per il desiderio vivissimo di coprire la capitale lombarda, anziché ritirarsi, come era razionale od ovvio, e come avrebbero suggerito anche i caporali, sopra Piacenza. Il quale errore, commesso con la coscienza di commetterlo, ebbe gravi e funeste conseguenze sull’esito di quella prima campagna di guerra e sulle sorti della successiva del 1849.