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capitolo quinto 229

Io credo che la verità vera sia questa: in quella congiuntura, tutti, dal più al meno, i governi italiani furono colpevoli, perchè guidati non dalla visione degli interessi nazionali, ma dalla cura particolare di tutelare quelli regionali o municipali. Lo storico che, meglio di tutti e più imparzialmente di tutti — secondo l’opinione mia — abbia giudicato quel fatto della lega, voluta da ciascuno a proprio beneficio e, per ciò, non conclusa, è Giuseppe La Farina, di cui riproduco l’assennate parole: «Di questo fatto tutta la colpa è stata addossata ai ministri piemontesi; ma la verità è, che il governo di Torino non volea la lega, perchè la credea freno allo sperato ingrandimento della Casa di Savoia; che il Re di Napoli volea la lega per far escludere da essa i Siciliani e così metterli al bando dell’Italia; e questo pensiero tanto in lui prevaleva, che volle si ordinasse ai legati non entrassero in alcun acccordo, nè intervenissero in alcuna adunanza, se esclusi non fossero i Siciliani. In quanto poi al Pontefice e alla Toscana, la lega era voluta e sollecitata perchè Carlo Alberto non ingoiasse tutto, parole che udii1 ripetere nelle corti di Roma e di Firenze. E udii anche che il Pontefice pretendesse essere riconosciuto, non che come presidente, come arbitro della lega, nome non definito, e che destava gravi apprensioni nell’animo dell’ambasciatore sardo presso la corte di Roma. Dal che si può arguire qual fosse l’amore per l’Italia

    stituzionale? Muoverà egli guerra all’Austria? o invece ha segreti impegni con l’Imperatore?" Risposi senza esitare: Non credo alla buona fede di un Borbone; l’avo ed il padre di Ferdinando II furono spergiuri, ed egli lo sarà appena si presenterà l’occasione; che si intenda con l’Imperatore è più che certo: la Regina non è austriaca? E la trista donna aborre i Napoletani e domina il loro Re. "Siate prudenti — ripigliò l’ambasciatore — procurate di agire sull’esercito, sulla marina militare e cercate che i suoi generali ed Ammiragli non rifuggano da un accordo con quelli del Piemonte pel trionfo della causa nazionale". Soggiunse: "In gravi circostanze scrivete, o venite; le lettere lo consegnerete al Conte Di Busières cho rimane incaricato di affari di Francia a Napoli, ed eccovi uno scritto per lui. Prudenza! prudenza! Siate callidi serpenti, infino a che non possiate mostrarvi leoni!"» (Giovanni La Cecilia, Memorie storico-politiche dal 1820 al 1896, Roma, tipografia Artero, 1870, vol. IV, pag.163).

       Se questa narrazione è esatta, essa è una nuova prova dell’affetto di Pellegrino Rossi per la causa italiana ed è la conferma del l’esattezza del giudizio dato dal Principe di Metternich sopra il Rossi ambasciatore francese, ma sempre rivoluzionario italiano.

  1. Il La Farina era, insieme con Emerico Amari, con Casimiro Pisani e col P. Gioacchino Ventura, uno dei quattro legati del governo provvisorio siciliano alla Dieta per la lega italiana convocata in Roma.