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la ginestra 97


Tristano! Eppure io non sono come gli altri amici tuoi che si scandalizzano.

Io so il perchè.

E io so che, per grande poeta che tu sia, il tuo tempo non è ancora venuto. Tu non sei il vate delle ardenti rivoluzioni nazionali; tu non sei il profeta delle cupe secessioni sociali. Riconquistati i confini delle patrie, ricostituiti i diritti delle classi, verrà il tuo evo. Perchè in vero tu contempli il genere umano da così sublime vetta di pensiero e dolore, che non puoi scoprire, da così lungi e da così alto, tra gli uomini, differenza di condizioni, di parti, di popolo, di razza.

È un formicolìo di piccoli esseri uguali: e se n’alza un murmure confuso di pianto.



VIII.


O Tristano! Tristano! E tu dunque avrai avuto per tua parte il cuore così nobile, l’intelletto così alto, e così singolare di sventura il destino, senza utile nostro, di noi, che siamo tuoi fratelli in dolore? Abbomini la politica, ridi della felicità delle masse: colpa della natura, ripeti. Non c’è dunque nulla da fare? Non c’è più che da guardare stupidamente in viso questa ridicola esistenza? Vano cercare, come la panacea, così il farmaco che faccia obliare, sia pure per brevi momenti, il dolore e l’ira? che li attenui almeno? Sei tu davvero, ripeto, così morto spiritualmente? Sei tu già davvero di là e come l’Aiace omerico, insensibile alle dolci parole, silenzioso e